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"D'Arrigo e Guttuso", i miti dello Stretto di Messina in un libro

MESSINA. Da Omero in poi lo Stretto di Messina ha trasmesso sempre alla letteratura un fascino irresistibile. Qui, dove «il mare è mare», Stefano D'Arrigo concepì l'idea del suo celebre romanzo «Horcynus Orca» venticinque anni prima che fosse pubblicato e in un singolare sodalizio artistico con Renato Guttuso. I momenti di quel singolare incontro, nel quale s'inserì anche Elio Vittorini, sono ora ricostruiti dal critico e documentarista Sergio Palumbo nel libro «D'Arrigo, Guttuso e i miti dello Stretto».

Punto di inizio dell'incontro e del confronto tra scrittura e pittura fu l'estate del 1949 quando Guttuso scelse Scilla per una vacanza di lavoro e lì venne raggiunto da un gruppo di altri artisti come Tono Zancanaro, Vincenzo Ciardo, Giovanni Omiccioli, Giuseppe Marino. Da Messina il gruppo di Guttuso veniva spesso raggiunto da amici impegnati nel mondo della cultura come Salvatore Pugliatti (poi rettore dell'Università), Stefano D'Arrigo, il poeta Vann'Antò, Angelo Falzea, Vincenzo Palumbo.

Scenario delle loro conversazioni era quel mare fascinoso e avventuroso dal quale Guttuso traeva ispirazione per il suo realismo figurativo che a un certo punto incrociò il registro simbolico di D'Arrigo il quale aveva subito nella prima fase del suo progetto letterario l'influsso del realismo espressionista. Molti stimoli ideologici e intellettuali venivano da Vittorini che con i suoi «Conversazione in Sicilia» e «Le donne di Messina» aveva catturato l'interesse di D'Arrigo.

A tenere salda l'intesa tra D'Arrigo e Guttuso era l'impegno comune di rivisitare miti classici e leggende legate al microcosmo dello Stretto. Al centro del progetto erano l'uomo e il riscatto degli umili. Da qui nascevano i dipinti di Guttuso su pescatori, marine e scene di caccia al pesce spada. E da qui prese forma l'abbozzo di «Horcynus Orca». I due itinerari - quello artistico di Guttuso e quello letterario di D'Arrigo - presero poi direzioni diverse. Lo scrittore ripensò al suo progetto e sempre più lo legò allo sperimentalismo lessicale che Gianfranco Contini ha definito «siculo-italiano iperbolico, fiammante ed eccentrico».

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