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Ponte sullo Stretto, la Corte dei Conti: "Liquidare la società, costa troppo"

MESSINA. Se il Ponte sullo Stretto di Messina è  ancora un fantasma, evocato a onde politiche alterne; la madre  del Ponte, la Società Stretto di Messina, incaricata di  partorirlo, è una realtà dura a morire, più concreta del cemento armato. Nessun terremoto - nemmeno una legge dello Stato -  riesce a buttarla giù. Lo raccontano, con attento linguaggio  tecnico, i giudici della Sezione centrale di controllo sulle Amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, in una  delibera lunga 70 pagine, trasmessa oggi al Parlamento.    

La relazione esamina la «ridefinizione dei rapporti  contrattuali della Società Stretto di Messina», messa in  liquidazione nel 2013, ma tutt'ora vivente e capace di generare  costi. Non solo, capace anche si fare causa alle amministrazioni  dello Stato, generando così altri costi. Nonostante sia stata  messa in liquidazione con il d.p.c.m. del 15 aprile 2013,  l'onere annuo per il mantenimento in vita della Società Stretto  di Messina, è rimasto sopra i 2 milioni fino al 2015, solo dal  2015 i costi sono scesi sotto i due milioni, ma, rileva la Corte  dei Conti, risultano «ancora rilevanti» e, pertanto, sarebbe  opportuno accelerare la chiusura della società. Nonostante il  termine di un anno, prevista originariamente dalla legge, per la  cessazione della società sia «da tempo scaduto». La Società  Stretto di Messina continua a esistere, benchè in «assenza di  attività rilevanti». E soprattutto continua a pagare stipendi  agli organi sociali. Da qui il richiamo dei giudici contabili  alla «necessità di ridimensionare i costi della società inclusi  quelli degli organi sociali».

Nel corso degli anni, La Società Stretto di Messina ha anche  aperto un contenzioso con le Amministrazioni chiedendo  «rilevanti somme a titolo di indennizzo» per un ammontare di  circa 300 milioni. Contenzioso che va a sommarsi a quello aperto  dai privati per la mancata realizzazione dell'opera.      A parere della magistratura contabile, il contenzioso fra La  Società Stretto di Messina e le Amministrazioni statali «risulta  contrario ai principi di proporzionalità, razionalità e buon  andamento dell'agire amministrativo». Peraltro, «non risultano  iniziative della Presidenza del Consiglio e del Ministero delle  Infrastrutture per por fine al contrasto con la concessionaria».

I giudici contabili ritengono poi «opportuno che gli  azionisti (della Società Stretto di Messina, cioè principalmente  l'Anas e Rfi) compiano una specifica valutazione circa i  vantaggi conseguibili dal contenzioso attivo, a fronte di costi  certi per la permanenza in vita della stessa» società. In altre  parole sembrerebbe che l'unica ragione di tenere viva questa  società sia quella di proseguire il contenzioso con le  amministrazioni statali. Due entità - la società e gli enti  pubblici - che «al contrario dovrebbero agire all'unisono nel  superiore interesse del buon andamento amministrativo».

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