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Mafia dei Nebrodi, vanno in carcere i 9 fermati dai carabinieri

MESSINA. Furti, atti di vandalismo, danneggiamenti, fino all'uccisione di animali, come un maiale con il cui sangue sono vergate scritte di minacce, e la promessa della morte violenta. È l'escalation del gruppo legato a Cosa nostra di Catania, secondo l'inchiesta della Dda della Procura etnea, nell'aggressione a tre proprietari terrieri dei Nebrodi per costringerli a vendere le loro terre, 120 ettari di bosco del Parco in territorio di Cesarò (Messina).

Minacce che hanno portato, nei giorni scorsi, all'esecuzione di fermi nei confronti di nove indagati, eseguiti da carabinieri del Ros di Catania e del comando provinciale di Messina, che sono stati trasformati in ordinanza di custodia cautelare in carcere.

 

Al centro dell’inchiesta della Dda della Procura di Catania, diretta da Carmelo Zuccaro, l’azione di due clan che avrebbero minacciato allevatore e agricoltori per entrare in possesso dei loro terreni e ottenere contribuiti dell’Unione europea, aggirando così il 'Protocollo Antoci' che prevede la presentazione di un certificato antimafia. Il presidente del Parco dei Nebrodi per questa decisione che ha sottratto soldi alle cosche lo scorso anno è stato vittima, illesa, di un agguato, con colpi di fucile sparati contro la sua auto blindata sulla strada dei boschi che unisce San Fratello e Cesarò. Su quest’ultimo episodio ha pendente un’inchiesta la Dda della Procura di Messina.

Le ordinanze cautelari per i nove fermati, tra cui i presunti capi dei due gruppi, Giovanni Pruiti e Salvatore Catania, che ipotizzano, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa e tentativo di estorsione, sono state emesse da tre Gip: di Ragusa e Caltagirone per un indagato ciascuno e di Catania per gli altri sette.

Il gruppo aveva versato una caparra di 200 mila euro per acquistare un terreno, promettendo il versamento complessivo di 400mila euro, che avrebbero fruttato 50mila euro l'anno di Fondi Ue per l'agricoltura. E avrebbe ampliato la proprietà di uno degli arrestati, Giovanni Pruiti, 41 anni, considerato il capo del gruppo di Cesarò, che aveva fondi confinanti.

Tra gli arrestati anche Salvatore Catania, detto 'Turì, di 55 anni, indicato come il capo di Cosa nostra, per conto della famiglia Santapaola-Ercolano, di Bronte, Maniace e Randazzo.  Gli altri destinatari del provvedimento sono Roberto Calanni, di 37 anni, Giuseppe Corsaro, di 33, Antonino Galati Giordano, di 34, Luigi Galati Giordano, di 32, Salvo Germanà, di 41, Carmelo Lupica Cristo, di 62,e Carmelo Triscari Giacucco, di 44. Le indagini dei carabinieri sono state coordinate dal procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, e dal sostituto Antonino Fanara.

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