MESSINA. Sono stati posti sotto sequestro i beni di Giuseppe Pruiti, 47 anni, persona ritenuta a capo del clan mafioso operante a Cesarò e gerarchicamente inquadrato alle dirette dipendenze del pregiudicato Salvatore Catania, referente per la zona di Bronte della famiglia catanese “Santapaola-Ercolano”.
La Dia di Catania, collaborata dalla sezione operativa di Messina, ha dato esecuzione a un decreto di sequestro beni emesso dal Tribunale della Città dello Stretto. Il provvedimento riguarda imprese del settore agricolo e della ristorazione, numerosi terreni agricoli, fabbricati a Cesarò e Catania, diversi veicoli, centinaia di titoli ordinari Agea e rapporti finanziari.
Gli approfondimenti investigativi si sono soffermati anche sulle cospicue erogazioni di contributi Agea nei confronti di personaggi collegabili direttamente o indirettamente ad associazioni mafiose operanti nel territorio nebroideo, con lo svolgimento di mirate indagini patrimoniali. Pruiti era stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Nitor” nel 200 ed è stato condannato con sentenza passata in giudicato per i reati di associazione mafiosa ed omicidio, poiché ritenuto responsabile, dell’omicidio di Bruno Sanfilippo Pulici, allevatore di Maniace, morto il 4 giugno del 2002 all'ospedale Cannizzaro di Catania.
La vittima era stata ricoverata per le ferite causate dall’esplosione di pallettoni da un fucile utilizzato dai sicari. Nello scorso mese di febbraio, il fratello Giovanni, di anni 41, nel frattempo è diventato capo del clan di Cesarò dopo l’arresto del fratello Giuseppe, è stato sottoposto a fermo, insieme al noto boss Salvatore Catania, nell’ambito di un’operazione di polizia giudiziaria che ha cercato di disarticolare le consorterie mafiose di Cesarò e Bronte.
Le evidenze investigative emerse dalle svariate indagini condotte nel tempo sul conto dei clan mafiosi operanti nel territorio dei Nebrodi, confermano l’elevato spessore criminale della famiglia Pruiti, i cui affari ruotano intorno all'accaparramento dei terreni agricoli in affitto, degli allevamenti e al controllo del settore della commercializzazione della carne.
Le indagini condotte dalla Dia si sono concentrate principalmente sulla ricostruzione reddituale e patrimoniale di Giuseppe Pruiti della sua famiglia. In particolare, è stata evidenziata la sproporzione tra i redditi dichiarati ed il patrimonio acquisito nel corso dell’ultimo decennio. Nonostante la cospicua percezione di contributi erogati dall’Unione Europea che, tra l’altro, non potevano essere assegnati a soggetti destinatari di misure di prevenzione e dei loro familiari, il patrimonio rilevato dalle investigazioni è risultato frutto di investimenti di gran lunga superiori ai flussi finanziari regolarmente dichiarati.
In particolare, da tale indagine è emerso come, in presenza di maggiori controlli e requisiti per ottenere l’affidamento di terreni demaniali, dopo la stipula del protocollo di legalità da parte del Presidente dell’Ente Parco, subordinato al rilascio della certificazione antimafia, i clan mafiosi si siano adoperati, con intimidazioni tipiche del metodo mafioso, per avere il controllo di terreni privati tramite i quali ottenere i relativi benefici economici.
Gli investigatori hanno accertato che il sodalizio riconducibile a Salvatore Catania riuscisse ad ostacolare con il metodo mafioso ogni libera iniziativa agricola-imprenditoriale e condizionare fortemente il libero mercato. Il gruppo criminale ostacolava gli aspiranti acquirenti provocandone il recesso dalle trattative in corso, anche mediante concrete intimidazioni.
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