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Un volume d’arte racconta l’avventura dei tornieri di Santo Stefano di Camastra

Il vasaio Carmelo Garofalo

PALERMO. «Salire sul tornio» allora voleva dire meritarselo: perché si partiva da un carusieddu, poi si passava alla rasta, poi al vasetto. Tutti oggetti poi gettati via perché imperfetti: e il ragazzo che andava a bottega, doveva sudare parecchio prima di «salire al tornio», appunto, sedersi di fronte alla palla di argilla e iniziare a lavorare.

Anche insegnare era tempo sprecato, i ragazzini apprendisti erano mandati dal mastro e i genitori pagavano per far loro imparare il mestiere: insomma, l’arte del tornio non era roba da tutti e gli artigiani si contavano a decine. Eppure, sono andati scomparendo col tempo, oggi la ceramica si fa all’ingrosso, in fretta, senza metterci l’estro.

Un bel volume d’arte – in tiratura limitata di appena 250 copie – racconta l’avventura dei tornieri di Santo Stefano di Camastra e cerca di salvarne la memoria. Girargillissimevolmentegirar non è uno scioglilingua ma un viaggio nel passato, anche abbastanza recente. Lo firma un artista, Concetto Tamburello, che spesso è dovuto ricorrere ai dischi dei vasai per dar corpo alle sue creazioni. Il volume è stato presentato ieri a Palazzo dei Normanni, ha il patrocinio della Regione ed è stato realizzato con il contributo dell’accademia di Belle arti «Michelangelo» di Agrigento, del liceo artistico di Santo Stefano di Camastra, di Rest@rt, Palazzo Pagliaro e ceramiche La Spiga. Nel volume sono censiti moltissimi artigiani, anche alcuni che oggi non ci sono più, attraverso le loro foto storiche.

«Il tornio è come la musica, devi imparare presto – spiega Concetto Tamburello - questo libro racconta un lavoro che nasce dalle mani. Mi prefiggevo l’obiettivo di tirar fuori quello che non è mai stato fatto: narrare un’arte, quella del tornio, caduta in un oblio incredibile; e mettere nella luce giusta, questi eroi del tornio con mani sporche di aria e terra, che fanno nascere oggetti di raccapricciante bellezza».

Tamburello ha dovuto convincere i vasai. «Tra loro c’è una grande diffidenza, non capivano il fine di questa operazione della memoria. Alla fine abbiamo censito 81 artisti, alcuni addirittura dei primi del ‘900. Dalle loro mani nascevano oggetti bellissimi, pensiamo alla giara raccontata da Pirandello. Ed erano veri e propri personaggi: come Saverio Franco, mio insegnante alla scuola d’arte. Io volevo lavorare al tornio, lui rispondeva “palla al centro” che non era una libera interpretazione calcistica, ma indicava la posizione della massa di argilla al centro del tornio. Io non riuscivo a sistemarla, lui mise le sue mani sulle mie, la palla volò al centro esatto del tornio, e iniziò a prendere vita».

Tamburello cresceva come artista accanto ai vasai. «Li ho sempre invidiati per accarezzano l’argilla come la pelle. Ogni mia creatura nasceva dalle mani di altri. Questo libro li storicizza, ma bisogna salvarne la memoria, tornianti o girargilla sono sempre stati bistrattati ai margini della società, invece erano artisti dalla sensibilità pazzesca. Per un mio pezzo, una “giara ballerina”, ho dovuto rivolgermi ad artigiani algerini e marocchini che lavorano presso alcune botteghe di Santo Stefano».

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