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Afterhours, concerto evento a Taormina per festeggiare 30 anni di successi

Manuel Agnelli

TAORMINA. Nel 1987 i negozi di dischi vedevano arrivare sui loro scaffali un 45 giri firmato da quattro ragazzi italiani: Manuel Agnelli alla voce, la chitarra e la tastiera, Paolo Cantù alla chitarra, Lorenzo Olgiati al basso e Alessandro Pelizzari alla batteria. Rispondevano al nome di Afterhours, uscivano con un EP – due sole tracce – in inglese intitolato My Bit Boy, si rifacevano a band come Television e Velvet Underground (all’ultimo brano del loro omonimo disco del ’69, After Hours, dovevano proprio il nome), cantavano rigorosamente in inglese e non avevano esattamente i numeri di chi, trent’anni dopo, sta festeggiando una delle carriere più importanti nella storia della musica italiana. Gli Afterhours arrivano in Sicilia con #30, la tournée che celebra tutta la loro storia con cinquanta canzoni che esplorano ora le pagine più oscure della loro discografia, ora le hit che li hanno presentati al grande pubblico nazionale.

L’unica tappa per la Sicilia è quella al Teatro Antico di Taormina, martedì 22. «Non c’è nessun canovaccio pre-costituito – spiega Rodrigo D’Erasmo, violinista e all’occasione chitarrista per la band da quasi dieci anni – Non suoniamo una scaletta cronologica, abbiamo semplicemente compilato una lista molto ampia, che abbraccia più di cinquanta pezzi e va dagli esordi in inglese sino a Folfiri o Folfox (il loro ultimo album in studio, ndr.). Risponde chiaramente a un concetto di anniversario, e visto che l’anniversario lo festeggi con il pubblico abbiamo risposto anche a tanti loro desideri. Sarebbe stupido non farlo, d’altronde è grazie a chi ci ascolta che possiamo festeggiare trent’anni di carriera». La scaletta, come spiega D’Erasmo, è piena di «roba che suoniamo di rado. Questa è l’occasione – spiega – per ridare senso a pezzi che in alcuni dischi sono passati un pò in sordina. Con questa formazione pezzi come «Tutto domani» o «È solo febbre» hanno preso una veste del tutto diversa.

Anche i brani di «Hai paura del buio»? Sono stati rivisitati, e penso sia bello anche farli conoscere al pubblico in una versione aggiornata che tra l’altro corrisponde ai vent’anni dall’uscita di quel disco». Ma Rodrigo D’Erasmo, prima ancora di essere uno degli Afterhours, uno della band, è stato un grande fan del gruppo di Manuel Agnelli e soci. Perché quando gli Afterhours cominciarono a ingranare – in quel 1997 che vedeva intonare «Voglio una pelle splendida» anche da chi non aveva mai ascoltato altro firmato Agnelli/Gemmi/Prette – Rodrigo D’Erasmo cercava ancora di costruire la propria carriera nel mondo della musica classica. «La prima persona – racconta il musicista – che mi ha fatto sentire qualcosa degli Afterhours è stata la mia allieva di violino. Cercavo di arrotondare dando lezioni mentre cercavo di costruirmi una carriera nel campo della musica classica. C’era questa mia allieva dodicenne, ricordo, che era frustrata dal fatto di dover studiare solo musica classica. Allora le chiesi: «Cosa ascolti? Su cosa ti piacerebbe suonare il violino?», e lei mi fece ascoltare «Bye bye Bombay». Feci fatica a trovare il violino, era praticamente sommerso nel mix, ma quando lo scoprii mi piacque molto. Era musica molto distante dai miei ascolti, ma molto curata sotto il versante sonoro, molto speciale. Non avevo sentito niente di simile prima. Aiutai lei a tirar giù le parti di violino e con questa scusa cominciai a scoprire gli Afterhours».

La prima volta sul palco con loro per il violinista arriva nel 2008, l’anno de «I milanesi ammazzano il sabato», e arriva d’improvviso, mentre suonava al fianco del siciliano Cesare Basile. Ma è una prima volta fondamentale, che rivela a chi non li ha mai vissuti la vera natura degli Afterhours: «È buffo a raccontarsi ma la mia prima volta con loro fu a Toronto, in Canada, nel giugno del 2008. Io sarei dovuto entrare nella band con il tour estivo italiano, ma per Dario (Ciffo, violinista sino ad allora, ndr.) era impossibile fare la tappa al North By Northwest Festival e al Mercury Lounge di New York, così andai. C’erano poche persone curiose che vennero a seguirci, quindi restai tranquillo per tutto il concerto. Niente tensione. Al rientro, a Nettuno, vicino Roma, sul mare, arrivò invece la prima tappa del tour estivo… e tantissima gente. Ebbi lì il primo assaggio di quello che significa stare sul palco con gli Afterhours. Ricordo ancora che aprimmo con una «Sui giovani d’oggi» che fui costretto a suonare con le dita perché mi era volato via il plettro, tanta era la tensione e il sudore sulle mani. Alla chitarra eravamo in quattro, tutti insieme. Da allora mi sono abituato a quel tipo di coinvolgimento, che fa ancora parte dello spettacolo. È una sorta di tensione buona che deve essere trasmessa a tutti quelli che sono nel pubblico. È una delle prerogative principali del rock and roll, in realtà. E di questa band, che dopo trent’anni ha ancora tanto fuoco dentro». (*TABUA*)

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