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Riciclaggio, sequestro per i Genovese
Indagato Luigi, neo-eletto all'Ars
Il gip: quadro di gravità eccezionale

Francantonio e Luigi Genovese

MESSINA. I finanzieri del Comando Provinciale di Messina, nell'ambito di un'inchiesta sul riciclaggio, hanno eseguito il sequestro di società di capitali, conti correnti, beni mobili ed immobili, ed azioni riconducibili all'ex deputato Francantonio Genovese, al figlio Luigi, appena eletto all'Ars, ed ai suoi familiari.

Ammonta a circa 100 milioni di euro il valore delle aziende, dei conti e degli immobili sequestrati perché considerati profitto o strumento di reato al parlamentare messinese, alla moglie Chiara Schirò, al figlio Luigi, alla figlia Rosalia e al nipote Marco Lampuri. Si tratta del sequestro preventivo più grosso mai effettuato dalla Procura di Messina, ora guidata da Maurizio De Lucia.

Il decreto è stato notificato a Genovese e ai suoi familiari e accompagnato da un'informazione di garanzia per i reati di riciclaggio e sottrazione indebita. Oltre ai soldi presenti sul conto di una società panamense, aperto in una banca di Montecarlo, e i conti correnti di Unicredit e di una banca messinese, sono stati sequestrati una villa, appartamenti a Roma e Taormina e quote di due società, la L&A e la Gepa, trasferite da Francantonio Genovese al figlio.

Le indagini hanno inizialmente consentito di trovare fondi esteri per un ammontare pari ad oltre 16 milioni di euro, schermati da una polizza accesa attraverso un conto svizzero presso la società Credit Suisse Bermuda.

Luigi Genovese, 21 anni, recordman di preferenze a Messina alle ultime regionali siciliane, eletto nelle file di Forza Italia, figlio dell'ex deputato Francantonio, condannato a 11 anni per corruzione, è indagato per riciclaggio di denaro. L'inchiesta è coordinata dal procuratore di Messina Maurizio De Lucia. E' il quarto neo deputato dell'Ars a finire inquisito.

Dalle indagini dei finanzieri emerge che i fondi sarebbero in parte transitati presso una banca di Montecarlo e intestati ad una società panamense (Palmarich Investments) controllata da Francantonio Genovese e dalla moglie Chiara Schirò; in parte (per oltre 6 milioni) sarebbero stati trasferiti in contanti in Italia direttamente a Genovese attraverso "spalloni". In questo modo i Genovese avrebbero cercato di renderli irrintracciabili.

Per gli inquirenti, le verifiche sui redditi di Francantonio Genovese, che ha sostenuto che il denaro fosse di suo padre, hanno accertato che il patrimonio di famiglia non è compatibile con le entrate dichiarate. Da qui la contestazione di riciclaggio per denaro derivante da reato, quantomeno da evasione fiscale. Dopo che la moglie del deputato nazionale ha aderito alla voluntary disclosure per la parte di sua competenza ed ai limitati effetti delle sanzioni previste dalla annualità in corso di accertamento, sono emersi altri illeciti.

A partire dal 2016, a Genovese erano stati notificati da parte dell'Agenzia delle Entrate alcuni avvisi di accertamento per oltre 20 milioni di euro derivanti dalla conclusione di verifiche fiscali condotte nei suoi confronti: le indagini hanno messo in luce una complessa attività di ulteriore riciclaggio finalizzata anche a frodare il fisco.

E' emerso infatti che gli indagati, anche avvalendosi di alcune società a loro riconducibili, avrebbero condotto operazioni immobiliari volte a trasferire ad altri beni immobili e disponibilità finanziarie per eludere il possibile sequestro dei 16 milioni provento del riciclaggio e per sottrarsi fraudolentemente al pagamento delle imposte e delle sanzioni amministrative che hanno raggiunto circa 25 milioni di euro.

Genovese, nel tentativo di sfuggire all'aggressione patrimoniale nei suoi confronti, si è spogliato di tutto il patrimonio finanziario, immobiliare e mobiliare a lui riconducibile, attraverso la società schermo GE.FIN. s.r.l. (ora L&A Group s.r.l.) e Ge.Pa. s.r.l., di cui deteneva il 99% ed il 45% delle quote sociali, trasferendolo al figlio Luigi insieme a denaro proveniente dal precedente riciclaggio. Le partecipazioni societarie sono state dismesse attraverso strumentali e complesse operazioni di riorganizzazione del patrimonio sociale delle medesime.

"La personalità e i ruoli degli indagati, gravi fatti pregressi in qualche modo collegati, il contesto nazionale e locale in cui si incastonano i reati, il livello delle somme e beni oggetto di richieste e la costante valenza penale dei comportamenti, forniscono un quadro di gravità eccezionale". Lo scrive il gip di Messina, che ha accolto la richiesta della Procura di sequestro per equivalente, e che parla di "capacità e pervicacia criminale" degli indagati.

Il gip parla di "conti svizzeri che in sé segnalano una ricchezza smisurata, illeciti quanto meno nel sottrarre le ingenti somme ad ogni possibilità di controllo e di legittimo prelievo statale, e, per tale condotte, e per gli aspetti penali connessi, una scelta che, con un eufemismo, può definirsi di autoesclusione dallo Stato e dalle sue leggi, ritenendosi al disopra, del consesso sociale civile, di chi paga le tasse e di chi paga gli effetti dell'evasione fiscale nella contrazione grave dello Stato sociale". "Fatto - aggiunge - avvertito in una città in cui manca il lavoro e avanza la povertà, che rischia di perdere le migliori forze trasformarsi in grandi quantità di questuanti non cittadini".

Secondo il gip "la circostanza della ricchezza improvvisa di Luigi Genovese, il suo notorio ingresso in politica, il modo spregiudicato di acquisizione della ricchezza, danno la probabilità, sia pur per la visione cautelare di protezione dei beni e dei soldi dovuti allo Stato, che si verifichi la stessa attività del padre". "E così dal nulla - prosegue il gip - si staglia la figura di Genovese Luigi junior, che diventa consapevolmente, firmando atti e partecipando alle manovre del padre, ricchissimo e sono atti organizzati a tavolino, partecipati dagli interessati e forse da altre persone esperte dal ramo, rimasti nell'ombra e forse con la connivenza di banchieri, in cui comunque nessuno dei partecipi, per la presenza e gli effetti, si può dire inconsapevole e chiamare fuori".

Sulla vicenda interviene l'avvocato Nino Favazzo, legale della famiglia Genovese: "Non ho ancora avuto modo di leggere nè la richiesta dei Pubblici Ministeri nè, tanto meno, gli esiti delle attività di indagine che, della richiesta, costituiscono il necessario presupposto. Ogni considerazione a riguardo, quindi, sarebbe, allo stato, solo affrettata".

"Tuttavia, senza voler immaginare scenari 'complottistici' - aggiunge il penalista - di certo colpisce la tempistica del provvedimento che, in relazione ad una notizia di reato risalente a circa tre anni addietro viene, forse richiesto, ma certamente emesso dopo che la dottoressa Chiara Schirò ha definitivamente regolarizzato, attraverso lo strumento della 'voluntary disclosure', la propria posizione con lo Stato italiano versando quanto dovuto a titolo di imposta sanzioni ed interessi ed all'indomani della recente tornata elettorale, in cui Luigi Genovese è stato eletto alla Assemblea Regionale Siciliana, registrando un significativo consenso".

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