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Giro di prostituzione a Taranto, 13 arresti: ai domiciliari anche un prete messinese

C'è anche un parroco siciliano, don Saverio Calabrese, ora parroco di Monteparano, tra le persone arrestate a Taranto nell’ambito dell’operazione contro un’organizzazione dedita allo sfruttamento della prostituzione. Don Saverio Calabrese, posto ai domiciliari, è nato a Noto ma ha vissuto a Messina, città in cui si è trasferito all'età di quattro anni assieme al padre e dove ha studiato e si è laureato in Filosofia.

L'arcivescovo di Taranto Filippo Santoro, in via cautelativa, ha sospeso il sacerdote dal ministero pastorale. «Se le autorità competenti - è detto in una nota della Curia - lo consentiranno, l'arcivescovo auspica che il provvedimento al quale don Calabrese è stato sottoposto, possa essere trascorso in un luogo diverso dal territorio parrocchiale per ovvie ragioni riconducibili alla serenità e al rispetto per la comunità monteparanese».

Mons. Santoro rivolge ai parrocchiani» il primo pensiero di paterna vicinanza in questa difficile prova». L'arcivescovo assicura «che fin da oggi la comunità sarà seguita da un sacerdote incaricato dalla Curia. Attendendo le motivazioni non ancora pienamente conosciute circa le misure restrittive nei confronti di don Saverio, per il quale non verrà meno l’interessamento della Diocesi».

Don Saverio Calabrese, parroco di Monteparano, sottoposto agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione della Questura di Taranto contro un’organizzazione dedita allo sfruttamento della prostituzione, è tra i destinatari della misura restrittiva che rispondono «di favoreggiamento ed agevolazione della prostituzione, essendosi prestati in maniera continuativa e stabile a fornire assistenza alle prostitute, ovvero piena disponibilità nei confronti dell’unica donna componente il suddetto sodalizio criminale, la rumena che si fa chiamare madame». Lo ha precisato il capo della Squadra Mobile di Taranto Carlo Pagano nel corso di una conferenza stampa a cui ha partecipato anche il questore Stanislao Schimera. «Non è stato accertato nulla - ha aggiunto Pagano - in merito a possibili guadagni o benefici, ma si interfacciava con chi gestiva le ragazze, aveva, diciamo, una certa confidenza. Il giudice ha ritenuto di muovere quella contestazione anche a coloro che non facevano parte dell’associazione, ma in qualche modo gravitavano intorno a questo fenomeno, alcuni di essi in avanti con l’età, che accompagnavano sul posto le prostitute, altri che fornivano una sorta di assistenza logistica».

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