La Procura di Messina ha chiesto l'archiviazione dell’inchiesta sull'agguato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, la cui auto blindata il 18 maggio 2016 fu colpita da tre colpi di fucile nei boschi dei Nebrodi, tra Cesarò e San Fratello. Lo scrive la Gazzetta del Sud.
L’assalto fu sventato grazie all’arrivo poco dopo dell’auto su cui era il vicequestore della polizia Antonio Manganaro, dirigente del commissariato di Sant'Agata che ha risposto al fuoco, mettendo in fuga i sicari. A due anni dall’agguato restano senza nome mandanti ed esecutori dell’attentato ad Antoci, che è poi diventato il responsabile della legalità del Pd, nemico dei mafiosi dei Nebrodi per l’applicazione di un protocollo di legalità che ha sottratto loro i terreni sui quali incassavano finanziamenti milionari dall’Unione europea.
Agli atti dell’inchiesta, firmata da ai sostituti della Dda di Messina Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Fabrizio Monaco, e controfirmata dal procuratore Maurizio De Lucia, le indagini della polizia anche sulle cinque cicche di sigarette smozzicate trovate nel luogo della sparatoria. Il Dna estratto non ha avuto riscontri positivi con quello dei 14 indagati.
Dalla perizia balistica allegata al fascicolo emerge che a sparare tre colpi di fucile calibro 12 caricato a palla unica sarebbe stata una sola persona dal terrapieno vicino al ciglio della strada. Le 'fucilate', è ipotizzato, non dovevano uccidere, ma servivano a fare fermare l’auto, per poi poter lanciare due bottiglie Molotov che sono state ritrovate intatte, incendiare la vettura e indurre così Antoci e gli uomini della sua scorta ad uscire dall’auto blindata e potergli sparare addosso. L’intervento del commissario Daniele Manganaro avrebbe salvato loro la vita. Dalle indagini è emersa anche l’attenzione maniacale dei sospettati a stare attenti nel parlare al telefono e nel 'bonificare' le auto da eventuali microspie.
«Altro che atto intimidatorio come alcuni avevano ventilato, guidando la macchina del fango: viene fuori invece l’agghiacciante volontà del commando di uccidere me e gli uomini della scorta attraverso un attentato efferato e crudele». Lo afferma Giuseppe Antoci sulla richiesta di archiviazione depositata al Gip dalla Procura di Messina sull'agguato in cui è stato vittima due anni fa in qualità di presidente del Parco dei Nebrodi.
«Pur trattandosi di una richiesta di archiviazione, che non chiude il caso, ma che lo mette al riparo da problemi tecnico-giuridici - aggiunge il responsabile Legalità del Pd - è venuta fuori, inequivocabilmente, la dinamica dei fatti. Aspetto di leggere meglio le motivazioni della richiesta di archiviazione, cercando di dare anche io il mio contributo, ma nel frattempo nessuno si illuda tra i mafiosi e i collusi che il pericolo è passato, l’impegno va avanti con convinzione e con quanti hanno gustato la libertà e la necessità di portare avanti nei Nebrodi, in Sicilia e nel Paese sani e puliti percorsi di legalità. Ormai - ricorda Antoci - il Protocollo è legge, se ne facciano una ragione, ormai i mafiosi non potranno più accaparrarsi i Fondi Europei per l’Agricoltura a discapito dei poveri e onesti agricoltori. Chiare le modalità dell’attentato e altrettanto chiara la paura degli intercettati di parlarne addirittura evidenziando una maniacale attenzione a bonificare le auto in cui viaggiavano dalla presenze delle microspie».
«Forse un giorno uscirà il solito pentito - ipotizza Antoci - che porterà ad assicurare alla giustizia i mafiosi che quella notte ci hanno attaccato. Del resto la storia della Sicilia ci ha insegnato che è solo grazie a loro e allo sforzo degli investigatori che, alla fine, si sono risolti indagini sugli più efferati agguati mafiosi che hanno insanguinato la Sicilia».
«Oggi la Magistratura e le Forze dell’Ordine mettono un punto fermo - osserva l’ex presidente del Parco dei Nebrodi - pur non riuscendo a risalire alla difficile individuazione degli attentatori, chiariscono in maniera netta una cosa: Antoci andava ucciso, andava eliminato ed in un modo terribile e feroce. Coloro che in questi due anni hanno tentato di depistare, di infangare, di frenare tutto il percorso avviato - chiosa Antoci - hanno ormai una sola cosa da fare: vergognarsi».
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