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Tratta di rumene a Messina, chiesti 442 anni di carcere

MESSINA. Dure condanne sono state chieste dall'accusa nel processo scaturito dall'operazione "Bani Bani" che nel 2011 svelò un vasto giro di prostituzione internazionale gestito da rumeni. Il processo, che si svolge davanti alla Corte d'Assise, è arrivato quasi a conclusione. I due pubblici ministeri Liliana Todaro e Maria Pellegrino dopo aver ricostruito la struttura e l'attività delle tre organizzazioni che gestivano lo sfruttamento di donne rumene, hanno concluso chiedendo condanne per circa 442 anni di carcere per i trenta imputati.

Questo nel dettaglio le richieste: Ion Alexandru 18 anni, Petrica Bacar 18 anni, Marius Bakar 10 mesi, Ionel Calin 18 anni, Bianca Elena Constantin 18 anni, Florin Atos Constantin, 18 anni, Slatineanca Ioana Constantin 18 anni, Daniele D'Agata 6 anni, Gigi Motoc 18 anni, Francesco Panarello 18 anni, Gheorghe Gabriel Pirvu 21 anni, Larissa Mariana Pitigoi 18 anni, Ion Ruse 4 anni, Adrian Mitica Tone 7 anni, Giovanni Raffone 6 anni, Tudor Balan 18 anni, Catalin Dadiloveanu, 18 anni, Todor Florin Dragomir 18 anni, Gheorghe Ionut Ghita 20 anni, Mihai Haralambie 18 anni, Mihai Ilie 18 anni, Adina Mirela Luca 10 anni, Alvaro Lukaj 6 anni, Gina Markocsan 10 anni, Sebastian Costel Markocsan 20 anni, Laurentiu Teodor Necsoi 18 anni, Costantin Oprea 18 anni, Dorel Petrache 21 anni, Pasquale Rela 5 anni, Marian Claudiu Tufan 18 anni. Il processo è stato rinviato, nella prossima udienza la parola passa agli avvocati della difesa. Associazione finalizzata allo sfruttamento ed al favoreggiamento della prostituzione, riduzione e mantenimento in schiavitù e tratta di esseri umani e sfruttamento della prostituzione, sequestro di persona sono i reati contestati a vario titolo. L'operazione «Bani Bani» è il frutto di indagini condotte dalla Squadra mobile che a febbraio 2011 sfociarono in numerosi arresti.
L'organizzazione - divisa in tre gruppi (la cupola rumena, l'associazione Bacar e l'associazione Prejoianu)- era formata, secondo l'accusa, soprattutto da rumeni. Gli italiani avevano solo ruoli marginali, si limitavano ad offrire passaggi in auto alle prostitute oppure si occupavano di offrire supporto alle ragazze offrendo preservativi o altro. Le ragazze spesso abitavano fuori città, in Calabria oppure a Taormina o Milazzo. Proprio a Taormina una delle ragazze era stata chiusa in casa, senza che avesse la possibilità di aprire la porta ed uscire. Ragazze provenienti dalle zone più povere della Romania, a volte venivano reclutate con l'inganno di una vita migliore, si ritrovavano in uno stato di soggezione ed erano costrette a prostituirsi. Secondo l'accusa i componenti dell'organizzazione dettavano le modalità con cui le ragazze si dovevano prostituire «indottrinandole anche sulle spiegazioni da dare alle forze dell'ordine», inoltre durante le ore di lavoro per impedire qualsiasi libertà movimento o possibilità di fuga , sarebbero state sorvegliate continuamente attraverso un servizio di ronda nei luoghi dove le giovani erano costrette a prostituirsi. Una situazione ricostruita anche attraverso le intercettazioni telefoniche e le dichiarazioni di alcune ragazze.

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