A otto anni, Maria Luisa Ceciarelli da Messina non voleva andarsene. Motivi di cuore. E di mare. «Quando la guerra è scoppiata, si supponeva, giustamente, che gli americani sbarcassero proprio in Sicilia, così mio padre decise di portarci a Napoli. Io avevo otto anni, ma ero già innamorata pazza di un bambino biondo di nove. La notizia della partenza mi sconvolse. Capii subito che la guerra era una brutta cosa: obbligava le persone a fare ciò che non volevano, a scappare, a nascondersi, a combattere». La casa di Messina – dove la famiglia si era trasferita perché papà Angelo faceva l’ispettore del Commercio estero e lì era stato trasferito da Roma - era in alto e da lassù si vedeva il porto. Era anche piuttosto grande. Stretta e lunga, con un corridoio che la attraversava: «Ero stata portata lì a dieci mesi e volevo sapere se dove dovevamo andare c’era il mare. Nessuno aveva tempo per rispondermi». Tutto questo raccontava Monica Vitti nella sua autobiografia involontaria, «Sette sottane», pubblicata nel 1993. Il titolo è la traduzione dal siciliano di quel nomignolo di cui andava fiera: «setti vistini». La chiamavano così perché in casa non c’era il riscaldamento e la madre, in inverno, la vestiva a strati: maglie, magliette, sottanine, vestitini e grembiulini. Se c’erano ospiti, lei orgogliosamente mostrava le sue «sottane», provocando i rimproveri della mamma perché «era una vergogna tirarsi su le gonnelline». A Messina, la piccola Monica apprende dai parenti siciliani sguardi brucianti, importanza delle parole non dette, femminilità, ironia, tempra. E inizia a capire di aver bisogno di recitare. Infatti, inizia a fare teatro sotto i bombardamenti: in cantina, con i suoi due fratelli maggiori, Franco e Giorgio, mette in scena commedie teatrali animate da burattini. Un modo per esorcizzare la morte attorno. Frequenta le scuole elementari all’Istituto Sant’Anna di via XXIV Maggio e di quel periodo ricorda le aragoste che il padre portava a casa. Sulla sua strada le si sarebbero parate tante Sicilie. C’è quella, datata 1953 quando, a 22 anni, recitò nel coro dell’Ifigenia in Aulide di Euripide al Teatro Greco di Palazzolo Acreide. E poi c’è quella decisiva, legata al film del 1960 «L’Avventura» del compagno Michelangelo Antonioni, girato tra le isole Eolie, Taormina, Noto, con incursioni anche nella Sicilia occidentale. Provate a immaginare la Panarea del 1959, altro che vip. Scrive Monica: «Vuota, silenziosa e, improvvisamente, i suoni acuti del vento, della pioggia e del mare. Donne vestite di nero, bambini magri, pallidi. Poco cibo, pochissima acqua». E poi loro: lei, Antonioni, Lea Massari, Gabriele Ferzetti, Esmeralda Ruspoli, Lelio Luttazzi, Renzo Ricci, Franco Indovina e Gianni Arduini. Le riprese si svolgevano a Lisca Bianca che ogni mattina alle 5 accoglieva la barchetta del cast con il suo odore di zolfo, il vento: Panarea, al confronto, sembrava New York. Su Lisca Bianca rimasero anche bloccati da una tromba d’aria: quando furono portati in salvo, Lipari sembrò «il più bel porto del mondo». Nel ‘66 per «La bellissima che uccide» visita Capo S. Alessio e Tindari, nell'83 c’è la Sicilia di «Ritorno a Lisca Bianca», girato a Panarea, alla stazione di Milazzo, al «San Domenico» di Taormina e a Messina, sul viale San Martino. Di questa bella che non era considerata tale - così diversa dalle attrici in voga in quel momento: troppo magra, troppo alta, troppo bionda, troppo lentigginosa, con la voce troppo roca e con troppo poco trucco – che aveva frequentato l’Accademia, che si era tenuta alla larga dai concorsi di bellezza e che aveva lavorato in teatro, resta indimenticabile – in pieno '68 - il ruolo cucitole addosso da Monicelli, quello di Assunta Patanè, la ragazza con la pistola, siciliana timida e ironica, - «come pezzo di mammo sono» rimane una frase memorabile - e che insegue fino al Regno Unito l’uomo che l’ha «disonorata». La Vitti è ancora al fianco di Antonioni in due brevi film di fine carriera del regista: «Noto, Mandorli, Vulcano, Stromboli, Carnevale», un ritorno lungo 8 minuti nei luoghi de «L’avventura», e in uno spot realizzato per la Regione siciliana nel 1997. Monica ha sempre detestato viaggiare. Diceva: «Io non posso mai partire se non per tornare a casa. Come se fossi sempre a Messina, su quella terrazza e qualcuno mi costringesse ad andare in un altro posto».