Messina

Lunedì 23 Dicembre 2024

Mafia nel Messinese, arresti per 17 omicidi - Nomi e foto

MESSINA. Prima due colpi di pistola in testa, poi le mani mozzate. Infine una telefonata ai carabinieri per fare trovare il cadavere, affinché fosse chiaro a tutti chi governava nella zona. L'atroce efferatezza della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto è concentrata nell'omicidio di Antonino Sboto, assassinato il 3 maggio del 1999, perché il clan lo riteneva autore di furti 'non autorizzati' dalla 'famiglia', con l''aggravante' di averne commesso uno anche ai danni della sorella di un affiliato. E' uno dei 17 delitti, compresi un triplice omicidio e uno tentato, scoperti da carabinieri del Ros con l'operazione 'Ghota 6', culminata con tre arresti e la notifica di un'ordine di custodia cautelare in carcere ad altri 10 indagati. Tra loro anche i vertici della sanguinaria 'famiglia barcellonese', una delle espressioni più temibili ed organizzate della mafia in Sicilia, capace di mantenere rapporti qualificati con Cosa nostra e con la 'ndrangheta. Tra i destinatari del provvedimento del Gip Giovanni De Marco anche il boss Giuseppe Gullotti, già condannato a 30 anni di reclusione per l'uccisione del giornalista Beppe Alfano. L'agguato al cronista de La Sicilia, avvenuto la sera dell'8 gennaio 1993, non rientra tra i 17 delitti sui quali carabinieri del Ros hanno fatto luce. A Gullotti è contestato l'omicidio di Domenico Pelleriti, colpevole di una serie di furti 'non autorizzati': secondo alcuni pentiti il boss, dopo un violento interrogatorio che l'avrebbe costretto a confessare, avrebbe concesso alla vittima l'ultima sigarette prima di morire. Le indagini dei militari dell'Arma del Raggruppamento operativo speciale, coordinate dal procuratore di Messina, Luigi Lo Forte, hanno ricostruito la ferocia del clan che avrebbe assassinato anche Felice Iannello (a Falcone, il 5 marzo del 1996) perché spacciava droga a minorenni e Fortunato Ficarra (S. Lucia del Mela, 1 luglio 1998) perché infastidiva alcune donne in un esercizio commerciale. Il ferreo controllo del territorio passava attraverso delitti spietati, che dovevano dare l'esempio agli altri. Anche all'interno del gruppo. Come l'uccisione di Mario Milici (Barcellona Pozzo di Gotto, 19 agosto 1998) che avrebbe tenuto per sé proventi di estorsioni e gioco d'azzardo: fu ferito in una stalla e poi finito con ripetuti colpi con la canna di un fucile fino a trapassargli il collo. "In vent'anni di omicidi l'organizzazione ha preteso di avere un controllo del territorio come uno Stato - ha sottolineato il procuratore Lo Forte - con l'eliminazione dei soggetti esterni al clan che non seguivano le regole. Una giustizia interna per chi le violava, una politica di relazioni esterne che riguarda gli omicidi eccellenti". Tra questi anche quello del giornalista Beppe Alfano, "eliminato perché disturbava gli affari e gli interessi della mafia Barcellonese". "Abbiamo la conferma - ha aggiunto Lo Forte - sulle motivazioni dell'omicidio Alfano e della sua decisione al più alto livello dell'organizzazione mafiosa di Barcellona. C'è un'inchiesta secretata che è aperta". "Alfano - ha ricordato il comandante dei Ros, il generale Giuseppe Governale - era un giornalista che voleva svolgere il suo lavoro in maniera corretta e che ha pagato con la vita, uno dei martiri di questa terra". Oltre all'operazione del Ros, nella lotta alla mafia un altro segnale arriva da Palermo dove beni per cento milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia agli eredi dell'imprenditore edile Francesco Pecora, morto a maggio del 2011 e ritenuto dagli investigatori personaggio di spicco di Cosa Nostra. Secondo l'accusa, era un personaggio di spicco della mafia palermitana ed è stato coimputato in diversi processi con soggetti come Pippo Calò, Antonino Rotolo, Tommaso Spadaro e Giuseppe Ficarra.    

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