Messina

Lunedì 23 Dicembre 2024

Bimba marocchina segregata nel Messinese, condannati i familiari

ROMA. Oltre a 'educarla' a cinghiate, bastonate e ustioni, la facevano vivere in regime di 'apartheid' domestica, imponendole di consumare i pasti da sola e vietandole pure di vedere la televisione per accrescere il suo isolamento: è la drammatica situazione vissuta da una bambina di sette anni, figlia di migranti marocchini, 'colpevole' di essere rimasta orfana di madre e dunque, per motivi "culturali" che avrebbero radici nell'islam, destinata a essere sottoposta a un 'severo' regime educativo. Ad avviso della Cassazione - che ha confermato le condanne per il padre della piccola, Brahim El Abboubi, la sua compagna Hayat Harda, e lo zio Zgaida El Moktar - le giustificazioni" di tipo culturale e quelle che "legano determinati comportamenti prevaricanti all'adesione a un determinato credo" non "trovano cittadinanza" nel nostro ordinamento. Per la Cassazione, simili tentativi di giustificare l'ingiustificabile, messi in campo dalla difesa degli imputati in nome del relativismo culturale, rappresentano solo la "pretesa di assoggettare" le persone, e devono essere respinte "tanto più" se simili sopraffazioni e violenze avvengono nei confronti di persone "in condizioni di debolezza come questa bambina isolata dal mondo e dalla famiglia". "Vessazioni e umiliazioni" - scrive la Suprema Corte nella sentenza 29543 - come quelle di questa vicenda avvenuta nel messinese a Barcellona Pozzo di Gotto, sono "inaccettabili e del tutto estranee al sistema di valori costituzionali cui è, o dovrebbe essere informata, la vita sociale". Dell'isolamento nel quale era relegata la piccola e delle percosse che riceveva, il mondo 'esterno' si è accorto perché dopo le 'lezioni educative', il padre e la madre 'adottiva' della piccola, come se tutto ciò fosse normale, la avevano portata più volte all'ospedale per le ferite e le ecchimosi fino a che un giorno qualcuno si è deciso a far scattare l'allarme per le condizioni del corpo della bimba "costellato da segni di colpi vibrati nelle forme più diverse" e del tutto "incompatibili con cadute o eventi accidentali", sottolinea il verdetto della Suprema Corte. Dalla Corte di Appello di Messima, nel 2015, il padre e la seconda moglie sono stati condannati a due anni e tre mesi di reclusione per maltrattamenti e lesioni, mentre lo zio è stato condannato a tre anni perché aveva obbligato la bambina a toccarlo e a farsi toccare nelle parti intime. Nel confermare le condanne, la Cassazione ha disposto che i giudici dell'appello motivino il 'no' alla concessione delle attenuanti richieste dai due 'genitori' dal momento che la legge richiede che il diniego di una pena più mite sia argomentato.

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