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Bimbo siciliano rapito dal padre arabo, la madre: calvario lungo quattro anni

BARCELLONA POZZO DI GOTTO. Il dramma di Paola Imbesi, 37 anni, di Barcellona Pozzo di Gotto, durato 4 anni, da quando il marito marocchino nel 2013 le ha sottratto il figlio di 4 anni, sembrava terminato con le sentenze di una giustizia marocchina velocissima. Invece questa donna che già aveva avuto un’esistenza non facile, nata in Colombia, poi adottata da una famiglia italiana, ha perso il primo marito siciliano nel 2005 mentre erano in viaggio di nozze in un drammatico incidente stradale a Cuba, è ripiombata nell’angoscia.

Da nove mesi non ha notizie del figlio, che ora ha 8 anni, che chiameremo Karim. La donna, denunciò il rapimento da parte del padre del bambino, da cui si stava separando (la procedura è ancora in corso), il 20 giugno 2013 al commissariato di Barcellona Pdg. Da allora è cominciata la ricerca di Karim da parte della madre e dei nonni Antonino Imbesi, 74 anni, metalmeccanico in pensione, e Venera, che sono andati varie volte in Marocco affrontando grosse spese tra cui la nomina dell’avvocato.

«Finora ho taciuto - dice il nonno - percorrendo le vie istituzionali ma da dicembre mio nipote non si trova più e siamo molto preoccupati». «Karim non ha più potuto frequentare la scuola dal gennaio scorso, e non potrà frequentarla neanche quest’anno, è tenuto nascosto dai parenti da qualche parte - dice il nonno - L’anno scorso siamo stati per ben tre volte in Marocco, tra Rabat e Casablanca, per 60 giorni. Sto sopportando tante spese, viaggi, hotel, spostamenti vari: l’avvocatessa marocchina per tutte le udienze si deve spostare da Rabat a Oued Zem o a Khouribga, circa 250 km».

Prima di sparire con il bambino il padre di Karim aveva portato il figlio a Bologna col permesso della madre, dicendo che doveva partecipare al matrimonio di un suo parente, ma non era più tornato in Sicilia. Il bambino, tra l’altro, aveva il doppio passaporto perché la donna aveva firmato il consenso sui documenti che le avevano dato in consolato: erano scritti in arabo. L’uomo, qualche tempo dopo, telefonò dalla Libia dicendo che il figlio era con lui e stava bene. «Ci faceva ascoltare una vocina che diceva 'sto bene' ma abbiamo capito che era una registrazione.

La Farnesina interessata della vicenda - racconta il nonno - ci disse che in quel periodo operare in Libia era quasi impossibile. Poi abbiamo saputo che in realtà Karim era coi nonni paterni a Oued Zem e abbiamo cominciato la trafila giudiziaria in Marocco. Iter che si è concluso positivamente in via definitiva: le due sentenze (primo grado ad agosto, appello a novembre) hanno stabilito che mio nipote doveva rientrare in Italia e stare con la madre in virtù della convenzione dell’Aia sulla sottrazione dei minori».

Paola e suo padre rivedono il bambino il 6 giugno 2016, tre anni dopo la scomparsa, tanto che Karim stenta a riconoscere la madre. Rimangono con lui alcuni giorni. A dicembre viene pubblicata la definitiva sentenza d’appello e Nino e la figlia ripartirono per il Marocco per riprendere il bambino. La polizia lo cerca nelle due scuole di Oued Zem ma di Karim alcuna traccia. Anche in casa dei nonni paterni non c'era. A luglio di quest’anno il padre di Karim è stato arrestato per la sparizione. E’ tuttora in carcere ma dovrebbe uscire a breve. "Non avrò pace finché mio figlio non sarà con me in Italia», dice Paola.

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