Le mani della mafia sui lavori alla Fiumara d'arte: 14 misure cautelari. Indagato consigliere comunale
PALERMO. Le mani della mafia sui lavori di valorizzazione del patrimonio artistico dei Nebrodi. Ma anche estorsioni da parte di un consigliere comunale di Mistretta Vincenzo Tamburello ad un imprenditore edile che ha avuto il coraggio di denunciare. I carabinieri del comando provinciale di Messina hanno inferto un duro colpo alla famiglia mafiosa di Mistretta. Sono 14 le misure cautelari emesse, tre persone sono finite in carcere e undici hanno l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I militari hanno dato esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del tribunale di Messina su richiesta della Dda peloritana, nei confronti delle 14 persone ritenute responsabili di tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso e trasferimento fraudolento di valori. Il provvedimento scaturisce dagli esiti di una complessa indagine condotta, sin dal 2015, dal nucleo investigativo dei carabinieri di Messina, nei confronti della famiglia mafiosa di Mistretta. Al centro delle indagini un tentativo di estorsione da parte di un consigliere comunale di Mistretta, tuttora in carica, con altri due, di cui uno già destinatario di un provvedimento di sequestro dei beni. Le vittime dell’estorsione sarebbero due imprenditori edili, aggiudicatari dell'appalto, del valore di circa un milione di euro, indetto dal Comune e finanziato dall'Unione Europea, per la riqualificazione dei 12 siti dove sono installate le opere d'arte contemporanea che costituiscono il noto percorso culturale "Fiumara d'Arte". Le investigazioni, che avevano già consentito di arrestare il 6 ottobre 2017 una coppia di imprenditori edili per trasferimento fraudolento di valori, hanno permesso di documentare l'intestazione fittizia, a vantaggio di undici complici, anch'essi destinatari della misura in esecuzione, e di due locali notturni e uno stabilimento balneare ed un'attività di compravendita di auto usate sulla fascia tirrenica della provincia di Messina. Contestualmente, è stata data anche esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo disposto nei confronti delle attività commerciali, del loro compendio aziendale, dei conti correnti e depositi bancari, di cinque autovetture nella disponibilità degli indagati, per un valore complessivo di oltre due milioni di euro. L'inchiesta è stata avviata nel settembre 2015 quando un imprenditore edile si era rivolto ai carabinieri del comando provinciale di Messina segnalando, solo in parte e senza volere sottoscrivere in un verbale le sua affermazioni, quanto gli stava accadendo e cioè di essere vittima di un tentativo di estorsione. L'imprenditore si era aggiudicato, a seguito di una pronuncia giurisdizionale del Tar di Catania conseguente ad un suo ricorso, l'appalto indetto dal Comune di Mistretta per i lavori di valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico contemporaneo nebroideo denominato "Fiumara d'Arte" - opere finanziate dalla Comunità Europea, con un importo a base d'asta pari ad 1 milione di euro ed aggiudicati alla sua 'Ati' con un'offerta pari ad 802.000 euro. La vittima ha spiegato che era stata avvicinato dal consigliere comunale di Mistretta, Vincenzo Tamburello, che gli avrebbe spiegato che la ditta che aveva ottenuto l'appalto prima del suo ricorso aveva già versato la somma di 50.000 euro ad alcune persone del luogo, i quali li avrebbero successivamente restituiti dal momento che quella ditta era stata poi estromessa dai lavori. Pertanto, Tamburello gli avrebbe richiesto di corrispondere la somma di 35.000 euro, da devolvere ad una donna che veniva indicata come la ''signorina'' che aveva un fratello detenuto e, inoltre, lo avrebbe invitato ad assumere nei propri cantieri tre operai dei quali gli avrebbe successivamente indicato i nomi e infine lo avrebbe esortato a rifornirsi del conglomerato cementizio presso l'impianto dei fratelli Lamonica e assicurandogli che assolvendo a questi obblighi, non ci sarebbe stata alcuna richiesta estorsiva né danneggiamenti di sorta aggiungendo che, per il resto delle ulteriori forniture, egli avrebbe potuto rivolgersi al libero mercato. Le investigazioni immediatamente avviate attraverso servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e acquisizioni documentali permettevano di riscontrare ampliandole le prime dichiarazioni rese informalmente dall'imprenditore, identificando i complici di Tamburello e ricostruendo i rapporti tra loro. La donna, citata come la ''signorina'' è stata identificata proprio in Maria Rampulla, deceduta nel maggio del 2016, sorella di Pietro, condannato per essere l'artificiere della strage di Capaci ed all'epoca dei fatti detenuto, e di Sebastiano, storico capo della "famiglia di Mistretta" deceduto nel 2010. Gli ulteriori due complici sono stati identificati in Giuseppe Lo Re, detto Pino, personaggio ritenuto vicino all'associazione mafiosa e colpito da una misura di prevenzione personale e patrimoniale nel 2015, e dalla zia di questi, Isabella Di Bella, una cartomante di Acquedolci, la quale, sfruttando i rapporti di amicizia intrattenuti con la moglie dell'imprenditore, aveva saputo della sua partecipazione alla gara di appalto a Mistretta ed aveva proposto ai coniugi l'intervento del nipote che era persona influente a Mistretta ed in grado di intervenire in favore dell'imprenditore, organizzando loro nella circostanza un incontro con questi nel suo Night Club. Lo Re, a sua volta, in occasione di questo incontro indicava Vincenzo Tamburello come persona a cui i due coniugi potevano fare riferimento a Mistretta. Solo successivamente, molti mesi dopo quando ormai le indagini avevano in gran parte dipanato la vicenda, l'imprenditore, superati i timori che gli inculcavano i soggetti coinvolti nell'estorsione, formalizzava la denuncia integrando le prime sommarie indicazioni fornite ai carabinieri con ulteriori dettagli che hanno permesso di ricostruire completamente la vicenda. Inoltre le indagini avviate, hanno permesso di accertare come Giuseppe Lo Re, in ragione della sottoposizione ad una misura di prevenzione personale e patrimoniale, ha provato a sottrarsi ad eventuali ulteriori provvedimenti ablativi, attraverso ben undici complici, di cui cinque stranieri, che nel tempo si sono prestati a fare da teste di legno alle sue attività economiche. Tutte queste persone sono state colpite dalla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. In particolare, l'attività investigativa ha consentito di accertare che Lo Re disponeva dei conti correnti bancari delle società ancorché formalmente intestati ai fittizi titolari nonché come lo stesso gestisse quotidianamente i suoi night club occupandosi personalmente del reclutamento e del pagamento delle ragazze impiegate. Sui beni è intervenuto il provvedimento di sequestro preventivo che ha colpito tutti i compendi aziendali, i conti correnti personali dei prestanome e delle ditte oltre a numerosi veicoli e locali acquisiti con i proventi degli illeciti guadagni in virtù dell'evidente sproporzione con i redditi dichiarati.