Blitz nel Messinese che ha decapitato i vertici del gruppo mafioso Romeo Santapaola. Avrebbero controllato la distribuzione dei farmaci in Sicilia e Calabria, avrebbero imposto la loro forza con armi e minacce nei confronti dei clan rivali, avrebbero gestito sale scommesse illegali, avrebbero corrotto funzionari pubblici di Invitalia, estorto denaro a imprenditori e turbato un’asta pubblica del Comune di Messina. Tra le accuse anche quella di aver raccolto i voti nelle elezioni comunali del 2015 a Messina. I carabinieri di Messina coadiuvati dai colleghi di Catania e Palermo, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Messina su richiesta della Dda peloritana, nei confronti di otto persone accusate di associazione di tipo mafioso, traffico di influenze illecite, estorsione e turbata libertà degli incanti, aggravati dal metodo mafioso. Si tratterebbe di otto personaggi di spicco del clan Romeo Santapaola: Antonio Lipari, di 41 anni, Salvatore Lipari, di 44 anni, Giuseppe La Scala, di 51 anni, Giovanni Marano, di 46 anni, Michele Spina, di 46 anni, Ivan Soraci, di 43 anni, Maurizio Romeo, di 38 anni, Salvatore Parlato, di 62 anni. Le indagini, avviate nel 2017, costituiscono lo sviluppo dell’operazione Beta che aveva documentato l’operatività a Messina di una cellula di cosa nostra catanese, legata alla famiglia mafiosa dei Santapaola e sovraordinata rispetto ai clan che tradizionalmente operano nei quartieri cittadini. Alle nuove indagini e alle attività di riscontro delle recenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia Biagio Grasso, è stato possibile chiarire gli interessi del gruppo mafioso Romeo Santapaola. In particolare, sono stati documentati dalle indagini il controllo della distribuzione dei farmaci in Sicilia e Calabria e l'imposizione, sfruttando la capacità di intimidazione del sodalizio, dell'acquisto di farmaci da parte delle farmacie dislocate sul territorio di Messina; la commissione di azioni punitive mediante l'uso delle armi e della violenza, nei confronti di esponenti di clan cittadini rivali, e di danneggiamenti; la gestione, nell'interesse del sodalizio, del settore dei giochi e delle scommesse illegali; il traffico di influenze illecite, aggravato dal metodo mafioso, poiché i membri dell'associazione promettevano la somma di 20.000 euro a titolo di acconto da corrispondere ad un funzionario della società Invitalia (ex sviluppo italia) per ottenere l'inserimento di un progetto contro la ludopatia in una graduatoria che avrebbe dovuto consentire di ricevere un finanziamento di circa 800 mila euro, di cui il 40%-50% a fondo perduto. Sono state contestate anche l'estorsione ai danni dello stesso Biagio Grasso, costretto a cedere la propria quota societaria, del valore di 220.000 euro, della P&F s.r.l. con sede a Messina; la turbativa d'asta commessa da un dipendente dell'ufficio urbanistica del comune di Messina, nell'interesse del gruppo criminale, alterando la gara, indetta dal comune nel 2014, per l'acquisto sul libero mercato di alloggi da assegnare in locazione agli abitanti delle novantacinque baracche della zona di Messina denominata Fondo Fucile. Nello stesso contesto, è stata data esecuzione al sequestro preventivo della BET s.r.l., società con sede a Catania, operante nel settore dei giochi e delle scommesse. L'attività investigativa ha confermato secondo gli inquirenti della Dda guidata dal procuratore capo di Messina Maurizio de Lucia che il gruppo criminale sarebbe: “Capace di proiettare i propri interessi in diversi settori dell'imprenditoria, che non si è limitata a sfruttare parassitariamente, ma che ha pesantemente infiltrato e finanziato. Il tutto, ancora una volta, grazie alla particolare capacità d'interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali, in un percorso trasversale in cui il ricorso alla violenza è rimasto sullo sfondo, limitato ai momenti di particolare criticità e nei rapporti con i clan di quartiere” Tra gli episodi ricostruiti, singolare il tentativo da parte di un gruppo che aveva concentrato i propri interessi sul settore dei giochi e delle scommesse, di accedere ad un bando per la realizzazione di un progetto contro la ludopatia che avrebbe fruttato ingenti somme. Gli interessi della criminalità nel settore delle scommesse emergono da una conversazione ambientale registrata nel 2014, nel corso della quale Vincenzo Romeo, che avrebbe un ruolo direttivo come confermato dalla sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato, a proposito delle concessioni per i centri scommesse affermava: “A Trapani lo ha per dire il nipote di Matteo (ndr: Matteo Messina Denaro), là ce l'hanno quelli là, i Graviano, quello là per dire Totò RIINA ...dove... (ine)... il genero di coso ... no vero, la figlia di Lo Picolo aveva il tabacchino con la Better , no, no vero”. Sono state documentate anche infiltrazioni mafiose nel settore della distribuzione di farmaci, che ha visto confermati i legami tra il gruppo Romeo con il clan catanese dei Santapaola e che avrebbe preso forma nel corso di una cena tenutasi a Messina nel 2014, a cui avrebbero partecipato i vertici della società interessata ed esponenti tra cui Vincenzo Romeo che, nell’occasione, sarebbe stato presentato come “un imprenditore in vari settori e parente diretto di Nitto Santapaola, con interessi economici a Messina, Catania ed in buona parte della Sicilia Orientale”. Tra i progetti del gruppo, la creazione di un hub per la distribuzione di farmaci nell’hinterland di Milazzo, che avrebbe aumentato esponenzialmente le potenzialità di intervento nello specifico settore. Addirittura, in una circostanza, confermata dall’interessato, ad un farmacista in difficoltà poiché in debito la società fornitrice, sarebbe stato “consigliato” di “farsi prestare i soldi dalla malavita”. È emerso, infine, che il sodalizio aveva la capacità di incidere anche sull’espressione del voto in alcune zone della città di Messina. Emblematica, a tal fine, l’affermazione di Francesco, Romeo captata nel 2015 dalle intercettazioni, che, dialogando col figlio Vincenzo, commentava le vicende elettorali di uno dei destinatari dell’odierna misura cautelare che, all’epoca, si era candidato alle elezioni amministrative: “Se non era per noi altri i voti dove li prendeva nella funcia... (nel muso, ndr) “le casette” tutti me li hanno dati i voti... ”.