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"Così violentavano le donne": i racconti dei migranti prigionieri in Libia

Donne violentate, torture, sfruttamento. Dal racconto di una delle vittime dei carcerieri del campo di prigionia di Zawyia, in Libia, fermati dalla polizia di Agrigento a Messina, emerge uno scenario disumano.

"Tutte le donne che erano con noi, una volta alloggiate all'interno di quel capannone sono state sistematicamente e ripetutamente violentate da due libici e tre nigeriani che gestivano la struttura. Eravamo chiusi a chiave. I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli altri due nigeriani avevano due bastoni". Il racconto è drammatico.

"Le condizioni di vita, all'interno di quella struttura, erano inaudite. Ci davano da bere acqua del mare - rivela - e, ogni tanto, pane duro. Noi uomini, durante la nostra permanenza venivamo picchiati al fine di sensibilizzare i nostri parenti a pagare denaro in cambio della nostra liberazione. Ci davano un telefono col quale dovevamo contattarli per dettare loro le modalità di pagamento".

E ancora: "Durante la mia prigionia ho avuto modo di vedere che gli organizzatori hanno ucciso a colpi di pistola due migranti che avevano tentato di scappare".

Un'altra vittima aggiunge particolari al racconto: "Tutti noi migranti eravamo divisi in gruppi per nazionalità e per sesso. Le donne erano messe tutte insieme, mentre noi uomini eravamo divisi per la nazione di appartenenza. Io, ovviamente ero con i camerunensi. Le condizioni di vita del carcere erano dure. Ci davano da mangiare solo una volta al giorno e ciò non bastava per placare la nostra fame, mentre l'acqua era razionata e non potabile, poiché bevevamo l'acqua del rubinetto del bagno. Tutti i giorni venivamo, a turno, picchiati brutalmente e torturati con la corrente dai nostri carcerieri".

"Ho visto morire tanta gente, - racconta - in particolare due fratelli della Guinea che sono deceduti a causa delle ferite subite nel campo. Con me all'interno di quel carcere c'era mia sorella Nadege che purtroppo è morta lì per una malattia non curata. Mia sorella aveva al seguito le due figlie di 7 e 10 anni che sono ancora detenute in Libia. Ho visto molte donne venire violentate da Ossama e dai suoi seguaci".

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