Il giudice del Tribunale di Patti Eugenio Aliquò, accogliendo l’istanza formulata dal legale di fiducia, avvocato Tonino Ricciardo e dal co-difensore, avvocato Bonaventura Candido, ha sostituito la misura degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora nel Comune di Santo Stefano di Camastra, ritendo attenuate le esigenze cautelari, nei confronti di Francesco Ranno, uno degli indagati coinvolti nell’operazione “Majari”.
E sempre per l’attenuamento delle esigenze cautelari, lo stesso giudice Aliquò ha rimesso in libertà Teresa Prinzi, di Santo Stefano di Camastra, difesa dall’avvocato Alessandro Pruiti Ciarello, Agli arresti domiciliari, era ristretta in carcere, la romena domiciliata a Capo d’Orlando, Dorina Negru Rodica, difesa dall’avvocato Giuseppe Mancuso.
L'operazione scattata lo scorso 12 maggio, portò all'arresto di 8 persone, 4 in carcere, 4 ai domiciliari. Il Tribunale del Riesame di Messina, aveva confermato la detenzione in carcere per Elvira Parisi, Dorina Negru Rodica (come detto adesso in libertò), Lidia Messina e Gino Paterniti (detenuto alla Casa circondariale “Madia” di Barcellona Pozzo di Gotto). Alla Parisi e al Paterniti, comunque, il Tribunale del Riesame aveva annullato alcuni dei capi di imputazione contestati (i due sono difesi dagli avvocati Alessandro Pruiti Ciarello e Tonino Ricciardo).
Rimanevano agli arresti domiciliari Teresa Prinzi, Gaetano Capra e Francesco Ranno, ex compagno di Dorina Negru Rodica e – come detto – adesso libero.
Il Riesame ha accolto in toto dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Bernardette Grasso, nei confronti di Rosario Lombardo Facciale, originario di Tortorici, residente a Rocca di Caprileone, all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria dopo quasi un mese di arresti domiciliari.A capo del sodalizio criminale vi sarebbero Elvira Parisi , di Santo Stefano di Camastra e Gino Paterniti , di Tortorici, detto “il conte”, promotori ed organizzatori della compagine associativa, i “perni” del sodalizio, fantomatici operatori dell’occulto, in continuo contatto tra loro, i quali si consigliavano sulle migliori “strategie” da adottare per “gestire” i clienti, che sovente si scambiavano, ripartendosi in percentuale i guadagni così illecitamente ottenuti. Secondo la ricostruzione degli inquirenti.
Le vittime, per procurarsi la liquidità necessaria a soddisfare le incessanti richieste degli indagati, non solo attingevano a tutti i loro risparmi, vendendo gioielli, attrezzature di lavoro (in un caso, addirittura, un intero allevamento di bestiame) e persino immobili di proprietà (le stesse case di abitazione) ma erano costrette anche a contrarre gravosi debiti con amici e parenti (ai quali tacevano il reale motivo del prestito), fino a contrarre debiti a tassi usurari che non riuscivano poi ad onorare.
Per ogni consulenza/rito i malcapitati clienti versavano una “parcella” di qualche centinaio di euro, fino ad arrivare a corrispondere, nel corso del tempo, in totale, cifre anche superiori ai 10.000 euro. Nei casi più gravi, due vittime hanno consegnato, rispettivamente, oltre 1 milione di euro uno e 70.000 euro un altro. In alcune conversazioni erano gli stessi indagati a suggerire alle vittime come procurarsi ancora ulteriore denaro, per esempio chiedendo prestiti ai familiari o vendendo gioielli al compro-oro. Emblematico il caso di una docente di Patti, che per riavere il proprio amore perduto, avrebbe sborsato ai sedicenti maghi oltre un milione di euro: "Paghi e riavrai l'amore perduto".
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