Identificati i possibili segnali precursori delle eruzioni esplosive di Stromboli nell’estate del 2019: sono rappresentati da una «fase di agitazione che ha provocato una perturbazione del sistema magmatico», e che può verificarsi fino a qualche settimana prima dell’evento. È quanto emerge dallo studio dei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) delle sezioni di Roma 1, di Pisa e dell’Osservatorio etneo di Catania, pubblicato sulla rivista Nature Communications. I vulcanologi hanno ricostruito i possibili segnali premonitori analizzando a ritroso i dati raccolti durante le eruzioni dell’estate 2019, per l’Ingv «una delle crisi eruttive più violente degli ultimi cento anni».
Daniele Andronico, vulcanologo dell’Ingv e primo autore della ricerca, spiega che lo studio parte «dall’analisi dei dati dei depositi generati dai due parossismi del 2019, grazie ai rilievi eseguiti sul terreno. Attraverso simulazioni - prosegue - abbiamo poi analizzato la dispersione dei prodotti esplosivi e stimato i tempi di caduta in alcune zone critiche dell’isola, come il molo di attracco dei traghetti e la pista per gli elicotteri».
Per Elisabetta Del Bello, dell’Ingv, tra le autrici della ricerca, «l'analisi integrata dei dati di videosorveglianza ha, quindi, permesso di ricavare i parametri fisici dei due parossismi, come l’estensione e la velocità di propagazione della nube eruttiva. Le immagini delle telecamere - spiega Del Bello - indicano che l’intensità e la frequenza della normale attività esplosiva a Stromboli hanno mostrato una repentina variazione circa un mese prima del primo parossismo, in coincidenza con la variazione dei parametri geochimici e geofisici rilevati a partire dallo stesso periodo. A riprova di come - conclude la vulcanologa - la perturbazione del sistema magmatico, poi culminata nelle manifestazioni esplosive di luglio-agosto 2019, sia iniziata settimane prima degli stessi eventi parossistici».
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