Diciannove persone sono state arrestate fra Messina e la Calabria nel corso di un'ampia operazione. Le accuse sono di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata alla produzione e al traffico di droga, detenzione illegale di armi e tentato omicidio. Gli arresti sono scattati alle prime luci dell’alba a Scilla, Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte e nelle province di Messina, Milano, Roma e Terni. I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria sono intervenuti a conclusione di indagini coordinate dalla Procura di Reggio Calabria-Direzione distrettuale antimafia, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, nell’ambito dell’operazione denominata «Lampetra». Quattordici dei 19 arrestati sono stati destinatari della misura cautelare in carcere e associati presso le case circondariali di Reggio Calabria, Messina, Catania, Salerno e Milano. Nella rete sono finiti in particolare i siciliani Salvatore Gentilesca, di Castanea delle Furie, frazione della città di Messina, e Antonino Galati Giordano, originario di Bronte ma residente in Calabria. Con loro sono finiti in carcere anche Antonio Alvaro, Italo Flaviano Cacciola, Antonino Cambareri, Cosimo Cannizzaro, Francesco Caracciolo, Angelo Carina, Carmelo Cimarosa, Francesco Cimarosa, Silvio Emanuele Cimarosa, Fatmir Fejzulla, Francesco Laurenti, Santino Porcaro e Vincenzo Siglitano. Gli altri cinque sono agli arresti domiciliari.: sono Silvio Carina, Cosimo Cicco, Giuseppe Cicco ed Enzo Violi. Secondo l'accusa, Gentilesca da Messina si spostava in Calabria per rifornirsi di stupefacenti. L'operazione arriva dopo una complessa attività investigativa – condotta dal Reparto operativo del Comando di Reggio con il concorso della compagnia di Villa San Giovanni – avviata nel 2019 e conclusasi nei primi mesi del 2021 e diretta dai sostituti procuratori della Dda Walter Ignazitto e Paola D’Ambrosio. Il lavoro fatto, dicono gli investigatori, «ha consentito di acclarare la radicata e attuale operatività della cosca Nasone-Gaietti», considerata una struttura mafiosa pienamente organica alla 'ndrangheta unitaria ed operante nel territorio di Scilla e nelle aree limitrofe. Le indagini, basate su intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, hanno svelato l'operatività del clan nel narcotraffico, che aveva un'autonoma capacità produttiva per marjuana e consolidati canali di approvvigionamento per la cocaina nelle aree urbane di Scilla, Bagnara e Villa San Giovanni. La cosca aveva anche disponibilità di armi, tra le quali spicca un kalashnikov di fabbricazione russa, per commettere gravi delitti sul territorio. In particolare, vengono citati un agguato ai danni di un ignaro cittadino, organizzato al solo fine di dimostrare l’egemonia criminale della cosca sul territorio, e la cacciata dalla Calabria di un pusher, colpevole di avere ritardato il pagamento della droga. L'inchiesta fa venire fuori l'obiettivo del clan di controllare alcuni settori dell’economia di Scilla: basti pensare all’interesse dimostrato per le assegnazioni delle concessioni degli stabilimenti balneari. Tutte fasi criminali controllate dalla figura di Angelo Carina, considerato al vertice dell'organizzazione. Per i carabinieri Carina è punto di riferimento per il nipote Carmelo Cimarosa (affiliato al sodalizio e responsabile dell’approvvigionamento e della distribuzione dei quantitativi di stupefacente destinati allo spaccio al dettaglio), con cui era in costante contatto. Sullo spaccio della droga Carina partecipava alla spartizione dei relativi guadagni. Cimarosa, così come i più giovani affiliati, si rivolgevano a Carina per ricevere indicazioni operative ed ottenere l’autorizzazione al compimento di azioni criminali rilevanti.