Si chiude con l’archiviazione l’inchiesta sulla morte di Enrico Lombardo, il 42enne di Spadafora che la notte tra il 26 e il 27 ottobre del 2019 morì dopo essere stato fermato in strada dai carabinieri, intervenuti su richiesta della sua ex compagna, mentre era in un forte stato di agitazione. È la decisione del Tribunale monocratico di Messina che ha dichiarato inammissibile il reclamo presentato dai familiari dell’uomo, assistiti dall’avvocato Pietro Pollicino, contro l’archiviazione dell’inchiesta dopo che il 26 giugno scorso la Cassazione aveva disposto la trasmissione degli atti ai giudici della Città dello Stretto. La sentenza sul caso, che era stato accostato a quello di Stefano Cucchi, è stata resa nota dalle organizzazioni Amnesty international Italia e «A buon diritto» e confermata all’ANSA dal penalista che si limita ad aggiungere che «valuteremo cosa fare, ma al momento l’inchiesta è archiviata».
Le indagini svolte avevano portato per due volte la Procura di Messina a chiedere l’archiviazione dell’inchiesta, accolta sempre dal gip e contro la quale si è sempre opposta la famiglia dell’uomo. La quinta sezione della Cassazione era intervenuta sull’ultimo ricorso dei familiari contro l’archiviazione disposta nei confronti di quattro indagati: un medico, due soccorritori del 118 e un carabiniere. La Suprema Corte non era entrata nel merito del quesito posto dai ricorrenti, ma nella forma: la decisione non era di sua competenza, avevano sostanzialmente evidenziato gli Ermellini, perché la valutazione del giudice dell’udienza preliminare doveva essere appellata con un reclamo al Tribunale monocratico di Messina e non con un ricorso in Cassazione. Da qui la sentenza di «trasmissione degli atti al tribunale di Messina per l’ulteriore corso».
«Il Tribunale di Messina - affermano le due organizzazioni - ritiene che non ci siano ulteriori elementi da valutare rispetto a quelli già presi in considerazione dal gip. Al contrario, i familiari di Enrico Lombardo, insieme al proprio legale e alle organizzazioni «A buon diritto» e Amnesty international Italia, sostengono che vi siano dei punti a oggi non sufficientemente considerati o rimasti irrisolti. Tra questi la paternità delle tracce di sangue sul manganello, la compatibilità della ferita alla fronte con l’urto con la cabina telefonica nei pressi del luogo dove è avvenuto il fermo e l’utilizzo di acqua sulla scena del presunto crimine. «A buon diritto» e Amnesty international Italia continuano pertanto a stare al fianco dei familiari di Enrico Lombardo nella richiesta di approfondimento della verità, chiedendo che venga chiarito fino in fondo quello che successe quattro anni fa».
Nella foto un frame finito nell'inchiesta
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