Messina

Sabato 28 Dicembre 2024

Mafia, un collaboratore di giustizia fa luce su 13 omicidi: sette arresti nel clan dei Barcellonesi

I carabinieri del Ros, con il supporto del comando provinciale carabinieri di Messina e del 12simo nucleo elicotteri carabinieri di Catania, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip, nei confronti di sette persone indagate per diversi omicidi aggravati dal metodo mafioso, fatti per agevolare le attività dell’associazione mafiosa del clan dei Barcellonesi, che gestiva gli affari criminali a Barcellona Pozzo di Gotto e sulla fascia tirrenica della provincia di Messina. Il provvedimento scaturisce dalle indagini avviate nel gennaio 2023 dai carabinieri del Ros (raggruppamento operativo speciale) su delega della Dda (direzione distrettuale antimafia) su 10 tra omicidi, lupare bianche, intimidazioni e tentativi di omicidio. Secondo l’accusa, gli indagati, alcuni dei quali già condannati con sentenza definitiva per essere capi e promotori del clan mafioso dei Barcellonesi, avrebbero preso parte, in qualità di mandanti o esecutori materiali, a omicidi nell’ambito della guerra di mafia degli anni Novanta in provincia di Messina. L'ordinanza di custodia cautelare è siglata dal gip Ornella Pastore su richiesta della procura retta da Rosa Raffa, dopo un'indagine durata mesi cui hanno lavorato il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e i sostituti della Dda Fabrizio Monaco e Francesco Massara.

I nomi degli indagati

I nomi degli indagati sono di primissimo piano nelle gerarchie mafiose che hanno governato Cosa nostra barcellonese, basti pensare che ci sono quelli di Giuseppe Gullotti, per molto tempo ritenuto al vertice del gruppo, e Salvatore «Sam» Di Salvo, designato poi come suo successore. Accanto a loro i nomi di Nicola Cannone e Stefano «Stefanino» Genovese. A loro quattro è arrivata la notifica in carcere, in quanto sono da tempo detenuti. Per altri tre indagati, che erano attualmente liberi, il gip Ornella Pastore ha deciso la detenzione in carcere. Si tratta del cassiere del gruppo mafioso barcellonese degli anni Ottanta e Novanta, Giuseppe Isgrò, tornato di recente in libertà dopo avere finito di scontare la sua condanna per l'operazione Gotha 4, di Carmelo Mastroeni, originario di Merì, sfiorato a suo tempo dall'inchiesta Omega-Obelisco e ritenuto dalla Dda da sempre vicino a Di Salvo, e infine di Vincenzo Miano.

I collaboratori di giustizia

Le indagini si sono avvalse delle recenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Micale, appartenente al clan dei Barcellonesi, e - dicono i carabinieri - hanno permesso di accertare che gli indagati avrebbero nel complesso partecipato, con differenti ruoli, ai 10 agguati tutti eseguiti con le classiche metodologie mafiose utilizzando armi da fuoco e cogliendo di sorpresa le vittime, uccidendo 13 persone di età compresa tra 21 e 55 anni. Si tratta di tredici vittime che solo in parte avevano avuto giustizia negli anni scorsi, ma adesso grazie alle indagini della Dda di Messina e dei carabinieri del Ros si sono aperti nuovi scenari. Oltre ai verbali di Salvatore Micale, i magistrati antimafia hanno preso in considerazione quanto nel tempo hanno dichiarato altri pentiti. Si tratta di Carmelo D'Amico, che per molti anni è stato il capo dell'ala militare di Cosa nostra barcellonese e poi s'è voluto sedere invece al tavolo principale del gruppo con i vari boss Rao, Barresi e Di Salvo, e poi del fratello Francesco D'Amico, di Santo Gullo, Nunziato Siracusa, Carmelo Bisognano e Aurelio Micale.

I tredici omicidi

Le indagini dei carabinieri del Ros sono scattate nel gennaio del 2023 ed hanno consentito di svelare aspetti ancora del tutto oscuri su tredici esecuzioni avvenute a cavallo tra il 1992 e il 1998 lungo la zona tirrenica. Eccole: l'omicidio dell'agronomo Angelo Ferro del 27 maggio 1993 a Milazzo, che in qualche modo sembra legato alla cattura del boss Nitto Santapaola, avvenuta qualche giorno prima, il 18 maggio del 1993 a Mazzarrone, nella ormai storica operazione Luna piena dello Sco; il duplice omicidio di Antonino Accetta e Giuseppe Pirri, trovati morti nel cimitero di Barcellona Pozzo di Gotto il 21 gennaio del 1992; l'omicidio di Carmelo Ingegneri, realizzato l'11 luglio del 1992 a Barcellona; l'esecuzione di Francesco Longo, messa in atto la sera del 28 dicembre 1992 a Barcellona; l'omicidio di Aurelio Anastasi, avvenuto il 4 gennaio del 1993 a Barcellona; il caso di lupara bianca che portò alla morte di Giuseppe Italiano nel febbraio del 1993 a Barcellona; l'omicidio di Giuseppe Porcino, un altro caso di lupara bianca, avvenuto nel marzo del 1993 a Barcellona; l'agguato del 4 settembre 1993 a Barcellona che causò subito la morte di Sergio Raimondi e Giuseppe Martino e, a distanza di diversi mesi, quella di Giuseppe Geraci, avvenuta il 26 aprile del 1994; l'omicidio di Giuseppe Abbate, che fu ammazzato la sera del 16 febbraio del 1998 a Barcellona; e infine l'esecuzione di Fortunato Ficarra, portata a termine il primo luglio del 1998 a Santa Lucia del Mela. Durante le indagini sul clan dei Barcellonesi, è emerso anche che diversi omicidi erano stati decretati dai vertici della cosca per «punire alcuni ragazzi che avrebbero commesso furti o spacciato sostanze stupefacenti senza aver ricevuto una preventiva autorizzazione da parte dell’associazione, comportamenti - dicono i carabinieri - che minavano l’autorità dei vertici del sodalizio».

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