Messina

Giovedì 26 Dicembre 2024

Il cartone usato per la frattura a Patti, la Regione chiude il caso: «Le stecche in ospedale c'erano, è colpa del medico»

«La responsabilità è ascrivibile alla dottoressa Maria Giovanna Barbitta. La scelta di immobilizzare la gamba fratturata mediante cartone rivestito da cotone di Germania e fasciato con garza è stata assunta da lei autonomamente»: è il passaggio centrale della relazione di tre pagine con la quale gli ispettori inviati dalla Regione Siciliana al pronto soccorso dell'ospedale di Patti hanno ricostruito la vicenda del trentenne di San Piero Patti, Elia Natoli (qui il suo racconto), per il quale non sono state trovate stecche immobilizzanti e altri rimedi. La foto di quella gamba avvolta da un cartone ha fatto il giro delle redazioni e dei social. «Ma le stecche c’erano in ospedale», è la conclusione degli ispettori, secondo i quali la medicazione poteva essere fatta in modo corretto. Tesi rilanciata esplicitamente ieri, 8 agosto, in conferenza stampa da Salvatore Requirez e Salvatore Iacolino, dirigenti generali dell’assessorato, e dal manager dell’Asp, Giuseppe Cuccì. Tutti quanti, assieme all’assessore regionale alla Salute Giovanna Volo, hanno illustrato ai giornalisti l’esito dell’inchiesta interna. Dunque, per la Regione, è la dottoressa di turno quella sera al pronto soccorso la responsabile dell’errore. Rea di una «sottovalutazione del caso» è la sintesi di Requirez. La relazione degli ispettori esclude invece esplicitamente responsabilità del direttore dell’ospedale, Giovanni Merlo, e della capo infermiera, Vincenza Centi. Entrambi erano stati inizialmente sottoposti a procedimento disciplinare. Su tutto questo indagano da ieri anche i carabinieri dei Nas, al momento con la procedura del «modello 45»: è stato cioè aperto un fascicolo senza ipotesi di reato né indagati. In attesa dell’inchiesta giudiziaria, la relazione degli ispettori individua almeno tre errori nella procedura di assistenza seguita dalla dottoressa Barbitta. In primis, il fatto che «il radiologo - si legge nella relazione ispettiva - ha ravvisato l’opportunità di fare eseguire al paziente una consulenza ortopedica che la dottoressa Barbitta non ha ritenuto necessaria, considerata la sua esperienza, come da lei stessa dichiarato». I fatti sarebbero questi: il paziente, Elia Natoli, arriva al pronto soccorso alle 19.54 del 27 luglio dopo un incidente stradale. Viene identificato come codice verde, non uno dei più gravi. Solo alle 22.17 e un po’ dopo mezzanotte viene sottoposto a due radiografie, che evidenziano la frattura alla gamba sinistra. A quel punto viene immobilizzato col cartone, la dottoressa Barbitta dice di non avere avuto nulla di meglio da utilizzare. E qui sorgono le prime due contestazioni degli ispettori, che avrebbero trovato in ospedale le stecche e le ricevute di acquisto antecedenti al 27 luglio. «Per di più - ha detto Cuccì - se fosse stato chiamato il responsabile del magazzino, queste sarebbero arrivate rapidamente al pronto soccorso». Inoltre, gli ispettori annotano di non aver trovato nel verbale medico una spiegazione al perché il paziente non sia stato spedito al reparto ortopedico di un altro ospedale. Né è stato contattato telefonicamente un ortopedico di Milazzo, almeno per un consiglio: «La dottoressa Barbitta ha altresì ritenuto, contrariamente a quanto suggerito dal radiologo di Patti - si legge nella relazione - di non contattare il dirigente medico ortopedico disponibile presso l’ospedale vicino». Questo dettaglio è stato ha illustrato da Cuccì e tradisce comunque lo stato di una sanità pubblica in difficoltà: «Il radiologo suggeriva un consulto in un reparto specialistico. Ma a Patti Ortopedia funziona solo di giorno perché abbiamo pochi medici. Bisognava quindi dirottare il paziente a Milazzo, dove c’è un reparto aperto tutta la notte a circa 45 minuti di auto». Secondo il verbale degli ispettori Barbitta avrebbe suggerito solo verbalmente al paziente questa soluzione, ma il giovane non l’avrebbe accettata preferendo le dimissioni (all’1,34 di notte) dopo la «terapia» del cartone. «Errore grave non avere messo a verbale il rifiuto del trasferimento», ha detto l'assessore Volo in conferenza stampa. Natoli sarebbe dovuto andare di nuovo a Patti il 29 luglio, per una nuova visita, ma nel frattempo si è rivolto a una clinica privata e da quel momento in poi il sistema pubblico non lo ha più seguito. Da Patti non è mai partita una chiamata per conoscere le sue condizioni. L’ultima contestazione degli ispettori (medici anche loro) è che l’immobilizzazione scelta dalla dottoressa Barbitta avrebbe potuto «essere causa di secondaria scomposizione». Cioè la frattura poteva aggravarsi. La conferenza stampa organizzata ieri dall’assessorato alla Sanità è stata molto contestata dai legali del medico del pronto soccorso di Partti: «Non è accettabile che pervengano alla stampa indicazioni sui temi trattati in sede di confronto ispettivo in mancanza di qualsivoglia contraddittorio - hanno detto gli avvocati Giovanni Tortora e Tindaro Giusto -. C’è un tentativo di improntare un processo mediatico finalizzato probabilmente a coprire precise responsabilità politiche a scapito di un professionista che ha operato in un contesto la cui precarietà e nota a tutti. Non permetteremo che la dottoressa diventi un capro espiatorio». Ma per l'assessore Volo «Barbitta ha avuto un atteggiamento discutibile. Non sarà un capro espiatorio, ma la responsabilità soggettiva professionale è una responsabilità a cui non ci si può sottrarre». Il caso sembra destinato comunque a suscitare ancora polemiche. Oggi infatti scende in campo il sindacato dei medici ospedalieri. «Non siamo qui a difendere l’indifendibile. Se medici e infermieri hanno sbagliato è giusto che si assumano le proprie responsabilità, ma non vorremmo che oggi, dopo i turni massacranti dovuti alla carenza di personale e dopo i calci e i pugni che si beccano dai pazienti, arrivi pure lo schiaffo beffardo di chi solo oggi sembra accorgersi dei problemi della nostra derelitta sanità pubblica», tuona il segretario regionale della Confederazione italiana medici ospedalieri (Cimo), Giuseppe Bonsignore. «Le dichiarazioni fatte nel corso di una conferenza stampa dal direttore generale della Asp di Messina, Giuseppe Cuccì, e dall’assessore della Salute, Giovanna Volo - sottolinea Bonsignore - sono nette e non ammettono repliche, se mancavano i presidi sanitari corretti, se non c’era la stecca, la colpa è di medici e infermieri. Oggi sembra emergere qualche incongruenza nelle dichiarazioni ufficiali: da un lato vengono sospesi la caposala del pronto soccorso di Patti e il direttore medico del presidio ospedaliero perché mancavano le stecche, dall’altro viene asserito che la responsabilità è della dottoressa di turno perché ha scelto liberamente di steccare il paziente col cartone al posto di utilizzare le stecche d’ordinanza. Ma, delle due l’una, o le stecche c’erano e quindi non andavano incolpati la caposala e il direttore medico dell’ospedale oppure le stecche non c’erano e allora non va incolpato il medico del pronto soccorso. E siamo sicuri - continua Bonsignore - che caposala e direttore medico non avevano mai chiesto le famose stecche? Perché, purtroppo, spesso accade che tra le richieste di materiale e l’arrivo dello stesso passa del tempo, tanto tempo, e la colpa non può certo ricadere sul personale sanitario ma forse andrebbe ricercata in inefficienze organizzative e gestionali di altro livello». In effetti, la caposala è stata discolpata, come il direttore dell'ospedale: secondo gli ispettori, le stecche c'erano.

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