È stata una conversazione doppia, perché mentre Matthew Modine - curioso, disponibile e lontano anni luce dagli attori che se la tirano - dialogava con Silvia Bizio, direttore artistico del TaorminaFilmFest con Gianvito Casadonte, è entrato in sala, a sorpresa, Richard Dreyfuss: i due si sono abbracciati e la conversazione si è allargata al nuovo ospite, invitato a salire sul palco.
Ha subito precisato, rivolto a Modine: «Sono venuto a controllare quante bugie dici».
Il protagonista di «Full Metal Jacket» capolavoro di Stanley Kubrick di 30 anni fa, aveva già raccontato i suoi inizi:
«Quando dalla California mi sono trasferito a New York perché volevo a tutti i costi imparare a recitare, avevo bisogno di lavorare perché i miei, che mi avevano dato del pretenzioso per questa smania di fare l’attore, non è che mi sostenessero economicamente. Speravo di fare il cameriere, invece fui spedito in cucina, e lì imparai a cucinare, fino a diventare chef. Capii che per realizzare quel sogno avrei dovuto studiare».
Chiama un ragazzo del pubblico, lo fa salire sul palco, lo spinge per farlo barcollare fin quando quello, per fargli resistenza, apre le gambe.
È la metafora che Matthew cercava: «Se le basi sono solide, non si cade, pensate al Colosseo quanto ha resistito al tempo, oppure alle piramidi. Ecco, la maggior parte degli attori vuole raggiungere la cima della piramide, invece la parte più ferma è in basso. Scusate se parlo per metafore – Gesù non parlava forse per parabole? - ma se si ignora chi è stato prima di noi e cosa ha fatto, puoi cavartela da giovane, se sei bello, ma non vai oltre e poi inevitabilmente cadi». Complimenti a Richard, con cui è amico da anni:
«È più bello di Richard Gere…Un aspetto che rende Richard un grande artista è quel suo avere una coscienza morale». Da questo momento è un continuo scambio tra i due: «Modine viene da un posto unico, la Dead Valley, la Valle della Morte», comunica Dreyfuss. «Voglio dire agli attori e ai registi che come noi hanno cominciato negli anni 70 anni, in tempi di baby boom, che non voglio morire senza prima brindare alla nostra generazione che, posso dirlo adesso immerso nel terzo atto della vita, abbiamo lasciato il segno e che per questo meritiamo una festa».
Scattano in entrambi, Matthew e Richard, i ricordi di Stella Adler, attrice e insegnate della Stella Adler Conservatory di New York, si susseguono gli aneddoti sul suo metodo, quello per cui è fondamentale capire a fondo chi devi interpretare. «Ogni forma d’arte è una ragione - dice Dreyfuss – e nessuna forma d’arte resta viva per millenni se non ha una vera ragione. Puoi scrivere una musica che ti commuove, un libro altrettanto interessante, ma nessuna arte come quella attore può strapparti il cuore e poi rimettertelo dentro. Tutto il lavoro dell’attore è basato sulla finzione, nulla è vero, dai vestiti alle parole, ma il pubblico crede di vedere la vita vera, noi esprimiamo quella gioia, quella felicità che vorrebbe sentire».
Riprende Modine, il soldato Joker di «Full metal jacket», quello con l’elmetto con la scritta «Born to kill», quello che, mettendosi sull’attenti, gridava: «Signore, soldato Joker a rapporto, signore!», il giornalistamarine capitato in un inferno chiamato Vietnam: «È un film che insegna e fa vedere come qualunque aspetto della vita possa essere trattato con violenza. Dopo aver guardato guerre come quelle in Afghanistan o in Iraq, la speranza è che un giorno questo film ci faccia capire gli orrori che l’uomo compie andando in guerra. Il sogno, invece, è che un giorno sia la pace a dominare, e che questo film smetta di essere attuale, mostrando unicamente una passata assenza di coscienza».
Kubrick era davvero così tremendo sul set?
«Ti metteva alla prova ma io sarò sempre grato per l’opportunità di aver lavorato con un regista come lui e non solo perché FMJ fa ora parte della storia del cinema ma anche perché il film è una forte denuncia su ciò che è la guerra e cosa fa alla gente. Kubrick era un grande, un raro genio del cinema e quella con lui è stata un’esperienza forte». Serata finale con i premi, eccoli: Premio Cirs per il film «Road To Lemon Grove» a Dale Hildebrand con Charly Chiarelli; Premio Angelo D’Arrigo a Pietro Bartolo, Premio Sebastiano Gesù a Luca Vullo per «Cca Semu», Premio Ferrari De Benedetti ad Alfredo Lo Piero per «La libertà non deve cadere in mare», Premio Videobank a Lello Analfino. Premi Tauro D’oro a Maurizio Millenotti per i costumi di «The happy prince – L’ultimo ritatto di Oscar Wilde», alla carriera a Matthew Modine, a Rupert Everett miglior attore e miglior regista per «The Happy prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde», a Richard Dreyfuss, a Michele Placido; per il miglior film indipendente ad Angelica Zollo per «Trauma Is The Time Machine». Premi Taormina Arte Award miglior produttore a Gianluca Curti, miglior distributore a «Sun Film Group», menzione speciale per il film «Be Kind» di Nino Monteleone e Sabrina Paravicini, miglior sceneggiatura a «Leave NoTrace» di Debra Granik, miglior attore ad Alberto Mica per il film «Transfert» di Massimiliano Russo, miglior attrice a Leven Rambin per «Tatterdemalion», miglior regia a Lorena Luciano e Filippo Piscopo per «It Will Be Caos», miglior film a «Once upon a time in November» dI Andrzej Jakimowshi.
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