C'è una caratteristica che accomuna il cervello dell’Homo sapiens e quello dell’uomo di Neanderthal: entrambi hanno mantenuto un alto livello di interazione tra le aree cerebrali sia nella fase giovanile che nella fase matura, a differenza di quanto accade nelle scimie antropomorfe. Lo dimostra lo studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution e coordinato dall’Italia, con Gabriele Sansalone, dell’Università australiana del Nuovo Galles del Sud e dell’Università di Messina, e Pasquale Raia, dell’Università Federico II di Napoli. Sempre per l’Italia, hanno partecipato alla ricerca l’Università di Pisa, con il paleoantropologo Antonio Profico, e l’Università di Firenze, con Alessandro Mondanaro.
Tramite tecniche di antropologia virtuale, i ricercatori hanno ricostruito la superficie interna del cranio di 148 specie di primati viventi e diverse specie di Hominina (Homo neanderthalensis compreso). Oltre alla forma del cervello, sono state ricostruite le interazioni tra le aree cerebrali ed è emerso che nelle scimmie antropomorfe e nella specie umana le aree cerebrali presentano alti livelli di integrazione dalla nascita fino allo stadio di sviluppo subito prima della maturità sessuale. Tuttavia, quando entra nella fase adulta, il cervello delle scimmie antropomorfe perde la coordinazione tra i lobi, probabilmente a favore della specializzazione delle diverse aree cerebrali. Homo sapiens invece mantiene un’alto livello di interazione per tutta la vita, così come accadeva nell’uomo di Neanderthal.
«I cervelli dei neandertaliani e degli umani moderni sono molto simili in termini di volume, ma nei Neanderthal il cervello ha una forma diversa, molto più primitiva», osserva Profico. «Il fatto che Homo neanderthalensis e Homo sapiens mantengano alti livelli di integrazione cerebrale durante l’età adulta è sorprendente perché - aggiunge - fino ad ora pensavamo che la comparsa del comportamento umano moderno fosse legata quasi esclusivamente alla presenza di un cervello globulare».
Homo sapiens è infatti caratterizzato dalla presenza di un cervello molto voluminoso ed è circa tre volte più grande di quello dello scimpanzè. «La mente umana è particolarmente creativa, capace di mescolare pensieri astratti in nuove combinazioni che forniscono possibilità sempre nuove e spesso impreviste», commenta Raia. «I nostri risultati suggeriscono che l’elevata coordinazione tra le diverse aree cerebrali possa essere stato il meccanismo alla base della “fluidità cognitiva” teorizzata da Steven Mithen, ossia della capacità di combinare moduli del pensiero originariamente progettati per compiti specifici».
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