CAPO D'ORLANDO. Potrebbe essere il bis del duro braccio di ferro del 1998, quello che torna a profilarsi tra EAS (ente acquedotti siciliani), ormai in fase di liquidazione e sommerso da oltre 600 milioni di debiti, e comune di Capo d’Orlando. Un confronto a colpi di carte bollate che ieri mattina si è trasformato in scontro diretto, con la decisione dell’amministrazione comunale di sostituire la serratura al portone del fabbricato, ubicato a ridosso della scalinata che porta al santuario, e lasciare fuori i due dipendenti che si erano presentati in ufficio. La decisione del comune poggia su una ordinanza di sgombero del fabbricato, emessa un mese e mezzo fa dal sindaco Enzo Sindoni. La struttura, infatti, rientra tra gli immobili che il comune ha alienato e, in questo caso, ceduto ad una impresa di Agrigento che in cambio effettuerà i lavori per la realizzazione del muro a protezione della strada che porta al depuratore di contrada Tavola Grande. Una ordinanza contro la quale l’Eas ha presentato un atto stragiudiziale di diffida, senza presentare ancora ricorso. Sullo sfondo infatti, c’è la controversia del 1998, quando il comune strappò dall’Eas (aprendo la strada a decine di altri centri del comprensorio) la gestione diretta dell’acquedotto urbano. All’epoca l’amministrazione si appropriò anche del fabbricato lasciando per qualche anno la possibilità, al custode che vi risiedeva, di mantenere un appartamento all’interno. Quando il custode andò in pensione, quella stanza fu presa dai due dipendenti che da Capo d’Orlando gestiscono sette comuni della fascia ionica del messinese. Nel frattempo una sentenza del Tribunale delle Acque accertò che “l’immobile è connesso all’attività dell’acquedotto” aprendo ad una opposta interpretazione. Se l’Eas, sulla base di quel pronunciamento, lo rivendica, altrettanto fa il comune affermando che l’attività dell’acquedotto in città è curata dall’ente locale. E su questo presupposto, il comune iscrisse negli anni scorsi l’edificio alla Conservatoria. “Se l’Eas ha bisogno per qualche mese di una stanza per far lavorare i due dipendenti- fanno sapere dal comune- ce lo dicano e daremo loro un posto. Ma quel fabbricato era dell’Ente e da tempo era nel nostro piano delle aliena nazioni”. Non commentano ufficialmente i dipendenti che ieri mattina hanno atteso ordini da Palermo seduti su un muretto fuori dall’edificio. Però tra loro c’è rammarico per un epilogo che poteva essere evitato con un confronto che le due amministrazioni pubbliche, evidentemente, non è stato efficace.