«Abbiamo colpito con un’azione senza precedenti la mafia dei terreni, ricca, potente e violenta, ed è per questo che quella notte volevano fermarmi. Volevano bloccare l’idea di una legge nazionale e dunque tutto quello che sta accadendo oggi. Le condanne in appello e la tenuta dell’impianto accusatorio sono la conferma del buon lavoro svolto da magistratura e forze dell’ordine». Lo dice l’europarlamentare del M5S, Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, commentando la sentenza del maxiprocesso alla mafia dei pascoli emessa ieri sera a Messina. «Mi hanno tolto tutto: libertà, serenità, mi hanno costretto a una vita complicata costringendo la mia famiglia a vivere in una casa blindata e presidiata dall’Esercito. Due cose però non sono riusciti a togliermi: la vita e la dignità - aggiunge - e grazie a quest’ultima che proprio con dignità e onore porterò avanti il mio mandato in Parlamento europeo difendendo e migliorando le norme antimafia per le quali valorosi servitori delle Stato hanno perso la vita». Il Maxiprocesso nasce dall’operazione del 15 gennaio 2020 denominata «Nebrodi» con 94 arresti e il sequestro di 151 aziende agricole per mafia. Più di mille uomini della guardia di finanza di Messina e dei carabinieri del Ros assicurarono alla giustizia numerosi componenti di famiglie mafiose contestando loro reati che ruotano attorno al lucroso affare dei fondi europei per l’agricoltura in mano alle mafie combattuto con forza con il cosiddetto «Protocollo Antoci». Così scrivevano magistrati nell’ordinanza: «La mafia che ha scoperto che soldi pubblici e finanziamenti costituiscono l’odierno tesoro e come siano diminuiti i rischi pur se i metodi restano criminali». Un meccanismo interrotto proprio da quel Protocollo che Giuseppe Antoci ha fortemente voluto insieme al prefetto di Messina Stefano Trotta e che oggi continua ad essere applicato in tutta Italia. Quello strumento, recepito nei tre cardini del Nuovo codice antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015, ha posto le basi per una normativa che consente a magistratura e forze dell’ordine di porre argine a una vicenda che durava da tanti anni. Di fatto, tentano di aggirarla e vengono scoperti. Antoci ha rischiato la vita in quel tragico attentato mafioso dal quale si è salvato grazie all’auto blindata e a quei valorosi uomini della sua scorta della polizia di Stato.