Felice Gimondi è morto in un caldo pomeriggio agostano e con lui se ne è andato un pezzo di storia italiana di quegli anni '60, quelli del grande boom economico in cui l'Italia cominciava a gustare il benessere da cui sarebbe derivato il baby-boom. L'Italia cantava, con i giovani Celentano, Morandi e invasa dalle musiche anglosassoni dei Beatles e Rolling Stones. L'Italia si rialzava, finalmente, dopo la guerra, cominciava a sorridere e a sognare. E a fare sognare gli italiani ci pensava lo sport come per esempio la grande Inter nel calcio. Nel ciclismo dopo l'epopea coppiana e bartaliana, stava nascendo una nuova generazione di campioni: Motta, Adorni in Italia e Poulidor in Francia. "Colpa di mia mamma Angelina, la postina di Sedrina, se ho deciso di fare il ciclista - diceva scherzando Felice -. Quando lei stava male ero io a distribuire la posta in val Seriana con una bicicletta, un'Ardita color rosso, regalatami da papà Mosè". Tante gare nelle giovanili e poi la svolta: il Tour de France 1965. Partito come gregario di Adorni, Felice vinse la terza tappa a Rouen dove indossò la maglia gialla e da lì cominciò la sua cavalcata finale con la battaglia sul Mont Ventoux con Poulidor e altri due successi di tappa nelle crono del Mont Revard e di Parigi, al Parco dei principi dove i parigini accolsero il figlio della postina di Sedrina, storpiandogli, (come di consuetudine, vedi Pantanì, Nibalì) il cognome in Gimondì si proprio con l'accento sulla "i". Felice fu un atleta di valore e di valori. L'amore della sua vita è Tiziana, donna bellissima, nipote di un proprietario di hotel a Diano Marina, a un tiro di schioppo da Imperia, dove tante squadre andavano per preparare le gare soprattutto la Milano-Sanremo. In verità Vittorio Adorni aveva già notato la bellezza di Tiziana e forse in lui quella simpatia si stava trasformando in qualcosa di più serio. Ma arrivò per primo Gimondi che conquistò Tiziana. Per quella giovane coppia, fu l'unico amore della vita. "Siamo stati sempre fedeli l'un l'altro - raccontavano i coniugi Gimondi seduti in un divano bianco nella loro abitazione di Paladina, vicino Bergamo -. Ci siamo amati. Le lunghe trasferte al Nord, che duravano anche mesi, Roubaix, Fiandre, Liegi hanno rafforzato il nostro amore". E nel ciclismo si vive di duelli, di dualismi e quelli tra Felice e Merckx, il cannibale belga, hanno acceso le rivalità tra i tifosi, di cui appunto il ciclismo si nutre". In occasione della vittoria di Vincenzo Nibali al Tour de France 2014 ebbe a dire:" Vincenzo è un grande campione figlio della Sicilia che ha grandi potenzialità nello sport. Purtroppo lì mancano le infrastrutture, ma le risorse umane ci sono. Anzi il ciclismo che è un sport di fatica si adatta a quei luoghi più che ai paesi ricchi. Nibali e Visconti per diventare dei grandi ciclisti sono dovuti emigrare, lasciare la loro terra, le loro radici. E questo vale anche per i paesi del sud del mondo come la Colombia dove stanno emergendo tanti giovani. Nel nostro meridione ci sono tanti ragazzi rinunciano ai loro sogni perché non se la sentono di abbandonare i propri affetti. Ci vogliono politiche che aiutino le grandi aziende ad investire sui giovani, sulle scuole di ciclismo, nei gruppi sportivi locali". Fu uno dei pochi a cercare di aiutare Marco Pantani. Lo cercò tante volte, disperatamente, per provare a farlo risalire in bicicletta. "Marco però non mi volle ascoltare - diceva - E per me la sua morte è stata dolorosa". L'intervista a Gimondi del 29 settembre 2016 in occasione del suo compleanno, è una piccola sintesi della sua carriera e della storia d'amore con Tiziana da cui sono nate Norma e Federica. Felice, il figlio della postina di Sedrina. Perfino su Facebook c’è un gruppo a te dedicato con questa frase. “Si, e la cosa mi fa molto piacere. Sono nato in un piccolo borgo della Val Brembana, dove il pane e la fatica erano un ottimo binomio. Mia madre, Angela, lavorava all’ufficio postale di Sedrina. Allora la posta si distribuiva usando la bici e nei periodi di freddo o di neve, ero io a sostituire mia mamma: era l’unica donna del paese ad andare in bici, aveva una Wolsit beige. Ero molto legato alla mia famiglia e con l’oratorio della Chiesa furono i miei luoghi di formazione umana e spirituale. I concetti di amore, onestà e fatica mi sono serviti più tardi per far bene nel ciclismo. Lavorare duro, questo mi venne detto sin da piccolo e ironia della sorte, la prima vittoria la ottenni il 1° maggio, in una piccola corsa, la Bergamo-Celana. Debbo a mia madre il mio amore per la bicicletta.” Grazie alle sue prestigiose vittorie, Gimondi è considerato un Mito sportivo degli anni ’60. Umile, saggio, insomma, un patrimonio per l’Italia… “Questo lo lascio dire agli altri. Grazie a Dio nella mia vita ho incontrato persone che mi hanno dato tanto. Nella vita sportiva a certi livelli ci vuole equilibrio e testa sulle spalle. E’ facile essere travolto dal successo e dalla fama. Per questo debbo molto a mia moglie Tiziana. Me ne sono innamorato 50 anni fa. Ci trovavamo in ritiro a Diano Marina dopo la Milano-Sanremo del ’65. Tiziana e i suoi parenti, già amici di Adorni, gestivano un albergo che ospitava i ciclisti. Fui abbagliato dai suoi occhi. L’ho rincontrata l’anno dopo e ancora oggi provo le stesse sensazioni di quel giorno. È stata lei ad aiutarmi a rimanere un normale campione. Ciclisticamente parlando, Luciano Pezzi è stato come un padre. Mi ha dato moltissimo.” Nel 1965 avviene qualcosa di incredibile. Tu passi alla Salvarani, 23 anni non compiuti, podio al Giro e a luglio vinci il Tour. “Al Giro del 65 corsi da gregario, al fianco di Vittorio Adorni che poi lo stravinse con 11’26” di vantaggio su Zilioli. Arrivai terzo a 12’57” dalla maglia rosa. A luglio non dovevo andare al Tour. Fui chiamato a sostituire Fantinato all’ultimo momento, il mio utilizzo era mirato: dovevo aiutare, infatti, il capitano Adorni nella prima settimana del Tour, per poi uscire di scena.” Ed invece... il destino ti portò subito a vestire la maglia gialla. “Dalla piccola Sedrina mi ritrovai catapultato nella grande Francia e addirittura a Roubaix dove arrivava la 2^ tappa mi ritrovai a sprintare, dopo una lunga fuga, con lo specialista Van de Kerckhove. Vinse il belga che indossò la maglia gialla. Il giorno dopo si arrivava a Rouen, la città di Anquetil, vinsi in volata lunga battendo Darrigade. Ero io la nuova maglia gialla.” E da quel giorno i francesi conobbero Gimondi, anzi Gimondì, con l’accento sulla i. “In quei giorni fui circondato dall’entusiasmo. Ma da buon bergamasco tirai dritto per la mia strada, che comunque prevedeva delle insidie. Adorni si ritirò per un’intossicazione. A La Rochelle, persi la maglia di leader, ma sui Pirenei scatenai una battaglia infernale. Avevamo scalato il Tourmalet e in fuga con Poulidor e Jimenez e verso l’arrivo, forai. Non vinsi la tappa, ma era il 30 giugno, il compleanno della postina di Sedrina e a mamma in quell’arrivo a Bagneres de Bigorre regalai la maglia gialla.” E poi il Parco dei Principi... in quel 14 luglio festa nazionale per i francesi, Gimondi conquista il Tour. “Poulidor fece il diavolo a quattro per attaccarmi. Sul Mont Ventoux, mi diede filo da torcere, vinse lui e io faticai non poco. Tenni comunque la maglia gialla, ma che fatica!. Poi nella crono sul Mont Revard diedi il meglio di me stesso, la vinsi e portai la maglia a Parigi”. E poi il Mondiale, Montijuc 1973, dove hai firmato un capolavoro. “Penso che fu la mia astuzia ad avere la meglio. Eravamo in quattro: io, Ocaña e due belgi Merckx e Maertens. Si arrivava in leggera salita. Fu un suicidio belga. Quando Maertens partì, ebbi la percezione che potevo vincere il mondiale, presi la sua ruota. Lui negli ultimi centimetri crollò. E così lo superai.” Felice come festeggerai il tuo compleanno. "Lo passerò con il mio trofeo più importante, la famiglia. Gli anni passano e ti rendi conto che stare con le persone più care è come vincere, ogni giorno, con l’aiuto di Dio, una magnifica tappa". Come in una arrivo di una tappa, ieri Gimondi in terra di Sicilia ha tagliato il traguardo, l'ultima tappa, dove non si vince una maglia o una medaglia. Per questa sua ultima volata, Felice Gimondi, non ci hai fatto impazzire di gioia. L'unica volta.