TAORMINA. La copertina del raffinato volume-catalogo mostra un’opera di un altro Antonello, quello meno noto rispetto allo zio, se si esce dalla cerchia degli studiosi d’arte del Rinascimento. È una fulgida Madonna in trono con Bambino (a Castello Ursino, a Catania) di Antonello de Saliba (detto Risaliba) a calamitare lo sguardo del lettore che si appresta a iniziare la lettura di «Palazzo Ciampoli tra arte e storia. Testimonianze della cultura figurativa messinese dal XV al XVI secolo» (Rubbettino editore, pp. 671). Il corposo volume, curato da Grazia Musolino, dirigente del Polo regionale di Messina per i siti culturali, è stato presentato ieri nell’Aula magna dell’Università degli Studi di Messina, alla presenza dell’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana, Carlo Vermiglio, ed è dedicato alla mostra di opere e manufatti che si è svolta lo scorso anno a Palazzo Ciampoli, a Taormina. Una mostra che ha attirato migliaia di visitatori che hanno mostrato vivo interesse verso il ricco campionario di opere siciliane, e messinesi in particolare, nella pittura tra ‘400 e ‘500, con le inevitabili influenze antonelliane. Perché Messina non è solo Antonello. Anche se il pittore, insieme con santa Eustochia Smeralda Calafato, dell’ordine delle Clarisse, sono i due personaggi di maggior rilievo del XV secolo della città dello Stretto e anche quelli che oggi sono i più amati e conosciuti. Anzi, secondo recenti ipotesi, pare sia stato proprio il volto della concittadina Eustochia ad averlo ispirato: il volto della sua iconica «Annunciata» col velo celeste e quella mano destra sospesa (che Roberto Longhi ha definito «la più bella della storia della pittura»), rendono umanissima una Madonna nell’ascolto di un angelo che c’è ma non si vede (e che le cambierà la vita). Un dipinto che è la visione idealizzata che Antonello d’Antonio Juniore (detto da Messina) ebbe di lei. Da parte sua, lui influenzò intere generazioni di artisti, parenti e stretti collaboratori inclusi, quelli della cosiddetta «piccola scuola». Eredi della pittura antonelliana ruotano intorno alle botteghe di Salvo d’Antonio e Antonello de Saliba. Oltre a loro c’è Giovannello d’Itala, figura non trascurabile del tardo antonellismo messinese e Antonio Giuffrè. «La figura di Giovannello», scrive in catalogo Stefania Lanuzza, «prende corpo grazie alle ricerche documentarie dello storico palermitano Gioacchino Di Marzo che, nel 1903, rende nota l’attività svolta nel primo decennio del Cinquecento dal pictor messanensis e ne attesta l’esistenza in vita almeno sino al 1531... tra il 1506 e il 1508 si colloca la realizzazione di una tavola raffigurante «San Tommaso di Canterbury e storie della sua vita» per la chiesa messinese di San Tommaso fuori le mura che il Di Marzo identifica con il dipinto oggi esposto nel Museo Regionale di Messina». Una nota a parte merita il figlio di Antonello e Giovanna Colummella, Jacobello «discretus magister». Come si legge nel saggio in volume di Teresa Pugliatti, egli è «conoscibile dall’unico quadro certamente suo, la «Madonna col Bambino» dell’Accademia Carrara di Bergamo, datato e firmato sul cartellino in basso a destra 1480 XIII Ind. Mesis Decebris/Jacobus Ant.lli filius no/humani pictoris me fecit, firma che suona al tempo stesso come una toccante dedica alla memoria del grande genitore. Il 1480 è l’anno successivo alla morte di Antonello, nel cui testamento Jacobello è menzionato come erede universale…Sicuramente di qualità non comprabile a quella del padre, e tuttavia alta, il dipinto di Bergamo ci dice parecchie cose che ci possono essere utili per caratterizzare il suo autore. Più vicini ad Antonello vi appaiono il volto della Vergine e il gioco delle mani; ma ciò che si coglie nella prima immediata visione dell’insieme è che, rispetto a quadri più iconograficamente simili di Antonello, qui manca quella concentrazione dell’immagine sulla figura centrale, concentrazione nella quale è maestro Antonello che riesce, appunto, a dare intorno alle figure La sensazione di un isolante silenzio». Ma negli ultimi decenni del Quattrocento ci sono tantissime piccole botteghe e abili maestri imprenditori che «sviluppano il proprio percorso parallelamente a quello delle imprese più prestigiose», scrive in catalogo Grazia Musolino, nel saggio della IV sezione, «artisti-artigiani come i Pilli, i Columella, i Matinati, o ancora pittori come Giacomo Chirico, Niccolò Romeo, Giorgio di Costanzo, risultano assiduamente impegnati ad assolvere gli incarichi assegnati da una vasta e dinamica clientela costituita da Confraternite, Ordini monastici e clero ordinario». Mentre il carattere bizantineggiante di tante opere in questa sezione della mostra (come, ad esempio, «Madonna col Bambino in atteggiamento di Eleusa» degli inizi del XVI secolo) «documenta un aspetto peculiare della cultura artistica messinese influenzata dagli orientamenti e dal gusto del clero greco. Una propensione comunque rilevabile nella tarda seconda metà del Quattrocento in tutta l’area centro-meridionale in quanto dettata dalle aspirazioni e dagli impulsi determinati dall’influente figura del cardinale Bessarione, nominato nel 1456 archimandrita dal San Salvatore, fautore dell’unione tra la Chiesa greca e quella latina, impegnato a sostenere la tradizione monastica italo-greca, fine umanista e mecenate… mentre nell’ambito della produzione post-antonellesca databile a cavallo dei due secoli, va inserito anche un interessante dipinto raffigurante «San Michele Arcangelo», pertinente alla chiesa di Santa Lucia a Savoca». Caterina Di Giacomo, dirigente responsabile del Museo regionale di Messina, in catalogo, si sofferma sulla tavoletta bifronte, di piccolo formato e di gusto fiammingo (oggi nelle collezioni del Museo) attribuibile a Antonello «testimonianza della religiosità del pittore messinese, tipica dei ceti medio bassi dell’epoca, improntata ad una intransigente adesione all’Osservanza… la qualità della pittura, definita perfino vertiginosa ha imposto la tavoletta all’attenzione della critica internazionale». «Questa», scrive il soprintendente per i Beni culturali, Orazio Micali, «non è solo la prima di molte altre mostre che ci auguriamo di poter ospitare; è un momento intimo e totale che si pone come nucleo fondante di un nuovo cammino dove Palazzo Ciampoli è luogo in cui esposizioni e mostre si susseguono le une alle altre, in attesa che diventi sede di collezione permanente».