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Festa dei morti, La Greca: «Il 2 novembre è nato alle isole Eolie»

«Il 2 novembre è nato alle isole Eolie». Lo ammette lo storico eoliano Pino La Greca, cultore di miti e leggende. «Nelle cronache di viaggio di San Willibald – spiega - il santo anglosassone, di ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta, nel 729, volle vedere i crateri dell'inferno. Ancora dopo l’anno Mille le Eolie e Monte Pilato,continuano ad ispirare i padri della Chiesa e sarà a seguito di alcuni racconti provenienti da Lipari,che suggeriranno all’abate di Cluny, Sant’Odilone, di istituire la Commemorazione del defunti. Fu tra il 1000 e il 1009 che Sant’Odilone, (962-1049) istituì la festività della commemorazione dei defunti e l’introdusse nei monasteri della sua giurisdizione. La festa si estese rapidamente in Francia e nei paesi nordici, mentre in Italia arriva nel secolo XIII e a Roma all’inizio del sec. XIV. Sull’istituzione di questa festa è interessante quanto racconta il monaco Jotsuald (sec. XII) nella biografia del santo abate: un monaco che tornava da Gerusalemme, sostando in una delle Eolie, molto probabilmente Lipari (dove era ancora attivo il vulcano di Monte Pelato), trovò qui un eremita il quale gli disse che dentro un vicino vulcano ardente erano punite le anime purganti, le quali invocavano preghiere dai vivi, ed in particolare dai monaci di Cluny, per la remissione o abbreviazione della loro pena; e perciò l’eremita gli raccomandò di riferite ciò all’abate di Cluny: in questi luoghi le anime dei reprobi soffrono diversi tormenti a seconda dei loro peccati e innumerevoli demoni rinnovano sempre le loro pene. Egli ode sovente questi demoni strillare con piagnucolosi lamenti perché frequentemente le anime dei dannati vengono sottratte alle loro mani a causa delle preghiere e delle elemosine di alcuni che lottano contro di loro senza tregua. Sant’Odilone, appena appresa la notizia dal monaco rientrato dal viaggio, decise d’istituire la festa della commemorazione dei defunti, collocandola all’indomani della festa d’Ognisanti. Questo racconto fu ripetuto da San Pier Damiano (sec. XI) nella biografia dello stesso sant’Odilone e da Iacopo da Varazze nella sua “Legenda aurea” (secolo XIII)».

«Il Purgatorio nasce alle Eolie? – si chiede La Greca - non possiamo affermarlo con certezza. La Chiesa Cattolica, attraverso la commemorazione dei defunti (e la intercessione per le anime dei morti), esprime la sua dottrina del Purgatorio». Le Eolie - aggiunge La Greca - nel Medioevo erano le porte dell’inferno. Sono i fenomeni vulcanici che avevano ispirato le leggende sulle Plactai, Le pietre erranti, descritte nelle «Argonautiche», o le «mura bronzee» nell’Odissea, che le trasformano, a seguito della ripresa dell’attività dell’ultimo vulcano attivo dell’isola di Lipari Monte Pilato, nell’ingresso in terra dell’oltretomba. Il primo testo che parla dei fenomeni vulcanici di Lipari interpretandoli come effetti dell’inferno è San Pionio, un sacerdote di Smirne martirizzato sotto Decio (249-51). «Il santo racconta che viaggiando per la Giudea, aveva visto oltre il Giordano terre devastate dal fuoco distruttore, dalle quali ancora si levava fumo e la terra era ridotta in cenere. Esse attestavano l'ira di Dio contro gli abitanti che violavano i sacri doveri dell'ospitalità uccidendo gli ospiti. A questi due passi ne segue un terzo riguardante in particolare Lipari. Tali cose hanno detto I Santi. Se qualcuno non lo crede, consideri l'isola di Lipari, la quale tanto si infuoca che fa anche ribollire il mare e fa naufragare le navi che vi si trovano sciogliendo la pece e si producono tremendi tuoni da quell'isoletta. Quando questi si producono, Lipari è scossa e trema». «E si innalza sabbia infuocata dal mare provenendo dal più profondo della terra – puntualizza il professore La Greca - e viene scagliata ad immensurabili altezze, viene trasportata dal vento che si trova a soffiare a va a cadere dove capita. Dicono anche questo, che, quando si sa che qualcuno empio ed iniquo ha lasciato questa vita, allora in questi luoghi si manifestano eruzioni di fuoco e tuoni, come se in essi fossero condannate le anime di costoro. Sarà il Pontefice Gregorio Magno, che nei Dialoghi, scritti nell' anno 594 mentre Roma è assediata dai Longobardi a confermare che le Eolie sono l’ingresso in terra dell’inferno. Il Pontefice descrive al suddiacono Pietro le pene sempre più atroci destinate ai dannati, e poiché l'inferno viene pensato dentro la Terra, sono necessari anche dei luoghi di accesso: il papa confida a Pietro che dopo la morte le anime dannate vengono trasportate in Sicilia, su una nave. L'Isola non è solo l'ingresso verso un altro luogo, è qualcosa di più inquietante. Perché è fra i suoi vulcani che si trova l'inferno, e non solo sull' Etna. Non è forse vero che i fenomeni vulcanici sono diffusi in tutta l'isola, più che altrove? Il loro moltiplicarsi, il progressivo ampliarsi dei crateri, indica senz'ombra di dubbio che l'inferno avanza. Per Gregorio la fine del mondo è vicina, bisogna prepararsi senza indugi. Il papa si sofferma su una storia che garantisce vera, ascoltata da un eremita testimone del prodigio: il sant'uomo aveva visto un corsiero-demonio correre verso Lipari per gettare nel cratere ardente nientemeno che l'anima di Teodorico, re goto colpevole di non avere perseguitato l'eresia ariana: leggenda che attraverserà i secoli per arrivare a Giosuè Carducci, e nelle Rime nuove il nero destriero dagli occhi di brace con in groppa Teodorico di nuovo volerà dalla gentile Verona all'infernale Lipari. Arrivato sull' orlo del vulcano, (...) Muggia a basso il tosco mar. Ecco Lipari, la reggia. Di Vulcano ardua che fuma. E tra i bòmbiti lampeggia. De l'ardor che la consuma. Quivi giunto il caval nero. Contro il ciel forte springò. Annitrendo; e il cavaliero nel cratere inabissò.

«L’altra leggenda medievale sulle bocche dell’inferno collocate nelle Eolie – continua lo storico di Lipari - è quella di Dagoberto I, re dei Franchi. Sul principio del 638 Dagoberto, uomo d’arme, che aveva per avventura trent’anni, essendo stato preso da dissenteria a Epinay, si fece trasportare a San Dionigi per avere l’assistenza delle preghiere dei monaci. Ma sentendo indi a poco avvicinarsi la morte, chiamò Ega, suo primo ministro, e raccomandata che gli ebbe la regina Nantechilde e il figliuolo Clodoveo, cessò di vivere il 19 gennaio. I monaci, che aveva ricolmi di beneficienze, annunziarono che erano certi di sua salute. Un santo il cui romitaggio era vicino alle bocche dell’inferno, del vulcano di Stromboli, aveva veduto passare una barchetta nella quale i demoni portavano agli eterni martiri l’anima di Dagoberto, nuda, carica di ferri, e oppressa da cruciamenti; ma i tre santi, pei quali aveva avuto più devozione, Dionigi (patrono di Francia e primo vescovo di Parigi), Maurizio (patrono del Sacro Romano Impero e custode della Lancia del Destino) e Martino, - accompagnati da angeli e armati con acqua benedetta, spade fiammeggianti e sacri incensieri - erano volati in aiuto di lui e l’avevano liberato. Nella grande tomba monumentale di Dagoberto I che si trova nell’Abbazia di Saint Denis, alla periferia di Parigi, è raffigura con dei bassorilievi la leggenda e il viaggio dell’anima presso la Bocca dell’Inferno, il cratere dello Stromboli. A distanza di alcuni secoli, nella Cristianità, le Eolie sono ancora le porte dell’Inferno».

 

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