I contributi della Regione erano per la pesca «intelligente», ma per un’azienda ittica di Caronia, nel Messinese, questa doveva essere pure furba e ai danni del contribuente: attraverso fatture per prestazioni mai rese, incassava più di quanto dovuto, ovvero circa 1 milione e 700.000 euro. A scoprire lo stratagemma che ha dato vita a una truffa aggravata sui fondi erogati dall'Ue, che ha fruttato al titolare e ad altri una denuncia, sono stati i finanzieri del comando provinciale di Messina, nel corso di un’indagine avviata nel 2020, diretta dalla Procura della Repubblica di Patti e condotta dalle Fiamme Gialle della Tenenza di Sant'Agata di Militello.
I contributi per la pesca «intelligente», attraverso l’aumento della produttività ed un migliore sfruttamento delle risorse biologiche marine, erano finalizzati a realizzare un impianto di acquacoltura, con bacini di acqua dolce per l’allevamento di pesci del tipo persico e storione, destinati poi alla successiva vendita. La normativa vigente in tema di erogazioni comunitarie prevede che il beneficiario partecipi, in quota parte e con risorse proprie, alla realizzazione delle opere, appaltando la materiale esecuzione dei lavori a soggetti diversi, con l’obbligo di documentazione delle spese sostenute e di modalità di pagamento tracciabili. Dall’esame incrociato delle fatture relative al programma d’investimento, invece, è emerso un «disegno criminoso - spiegano le Fiamme gialle - congegnato al solo fine di indurre in errore l’Ente erogatore": il responsabile dell’azienda ittica, grazie anche alla complicità delle ditte appaltatrici dei lavori, in alcuni casi riconducibili a prossimi congiunti, ha rendicontato alla Regione Siciliana il sostenimento di costi ampiamente superiori rispetto a quelli effettivi, facendo risultare come effettuati svariati pagamenti che, nella realtà, non erano mai avvenuti. Era stato messo in piedi un «circolo vizioso» di trasferimenti finanziari, appositamente creato per ostacolare eventuali controlli: le somme formalmente pagate agli appaltatori per la realizzazione delle opere venivano ritrasferite al soggetto percettore del contributo, mediante l’impiego di mezzi di pagamento tracciabili, il tutto solo formalmente regolarizzato attraverso fatture per prestazioni mai effettivamente rese. La Procura della Repubblica di Patti ha chiesto e ottenuto dal locale Tribunale l’emissione di un provvedimento di sequestro preventivo che ha riguardato liquidità e beni rinvenuti nella disponibilità degli indagati, per un ammontare di circa 700.000 euro.
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