Messina

Lunedì 23 Dicembre 2024

Caporalato e lavoro nero nelle Rsa di Messina, 5 finiscono ai domiciliari

Caporalato ed estorsione nelle Rsa della provincia di Messina: 7 misure cautelari a carico di imprenditori e consulenti del lavoro. Sequestrati beni per oltre 180 mila euro e sottoposte a controllo giudiziario due società. In azione i finanzieri del Comando provinciale che hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip della città dello Stretto, su richiesta della procura, per cinque arresti domiciliari e due obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria per associazione a delinquere, estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Tutto è partito dai controlli delle Fiamme gialle della Compagnia di Taormina presso una Rsa della provincia che hanno rivelato come il titolare si fosse avvalso, per l’assistenza degli anziani ricoverati, dal 2016 al 2020, di ben 36 lavoratori in nero, a fronte di una forza lavoro complessiva impiegata di 40 dipendenti, con forti risparmi in termini di versamento di contributi ed oneri previdenziali, senza effettuare la prescritta comunicazione al Centro per l’impiego. Il titolare delle strutture assistenziali vietava qualsiasi forma di riposo durante l’orario di lavoro; vietato anche socializzare e scambiarsi i numeri di telefono. I lavoratori effettuavano singolarmente il turno notturno, pari a dodici ore, durante il quale, oltre ad accudire gli anziani, avrebbero anche dovuto svolgere altre incombenze, quali il lavaggio e la stiratura delle telerie. A fronte di un compenso previsto dai contratti collettivi compreso tra i 1.184 e i 1.426 euro per 38 ore settimanali, i lavoratori della Rsa ispezionata percepivano solo 700 euro indipendentemente dalle mansioni svolte e dalle ore lavorate, e per 45 ore settimanali. Il gruppo di imprenditori e consulenti finiti agli arresti predisponeva specifici prospetti paga che per un verso, solo formalmente, certificavano l’esecuzione di prestazioni lavorative in linea con la tipologia di contratti di lavoro stipulati con i dipendenti, attestanti la corresponsione delle indennità spettanti; d’altro canto, invece, riportavano anche l’inserimento, tra le voci stipendiali, di giorni e ore di assenza dal lavoro che, di fatto, non risultavano fruite dai dipendenti, in modo da determinare una significativa riduzione delle spettanze stipendiali. Questo sistema era imposto sin dalla prima fase del colloquio per l’assunzione ai lavoratori che si trovavano costretti ad accettare il meccanismo estorsivo perchè bisognosi di lavorare. Un amministratore giudiziario affiancherà gli imprenditori nella gestione dell’azienda e autorizzerà lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa, al fine di impedire situazioni di grave sfruttamento del lavoro. Si tratta, viene spiegato dagli inquirenti di «uno dei pochi casi a livello nazionale e, sicuramente, il primo caso di applicazione a livello provinciale di questo straordinario strumento di contrasto, previsto dal legislatore quale misura alternativa al sequestro ‘impeditivò, proprio al fine di salvaguardare i livelli occupazionali». Sul punto, il giudice ha così motivato la sua decisione: «Nel caso di specie, sussistono fondate ragioni per ritenere che la libera disponibilità da parte degli indagati delle strutture possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, atteso che, in assenza di controllo, è del tutto probabile che gli stessi proseguirebbero nelle condotte di sfruttamento dei lavoratori dipendenti».

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