Tre arresti domiciliari e l’interdizione dall’esercizio dell’attività di impresa, in qualsiasi forma, per la durata di un anno, per altri otto soggetti. È il bilancio di un'operazione della guardia di finanza di Messina che ha inoltre provveduto al sequestro di circa mezzo milione di euro. Il provvedimento è stato emesso dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Patti, Dott. Eugenio Aliquò, su richiesta della Procura della Repubblica.
Dalle indagini svolte dai finanzieri è emerso un sofisticato sistema di frode attraverso il quale gli indagati avrebbero percepito, indebitamente, fondi pubblici, per un importo di oltre un milione di euro. In particolare, S.P.G., 50enne di Patti, e L.C., 41enne di Patti, e I.G.R., 30enne di Gioiosa Marea, tutti finiti ai domiciliari, erano a capo dell'organizzazione criminale. Il dominus era il 50enne, gravato da molteplici precedenti per reati contro il patrimonio e attualmente in carcere per un cumulo pene per le quali dovrà scontare sette anni di reclusione, e gli altri due si trovavano in posizione subordinata.
Sfruttando anche rapporti parentali ed amicali, sotto la direzione del 50enne, a decorrere dal 2016 in poi, vennero costituite ben 10 società, di cui due amministrate di diritto dal 41enne e dal 30enne e le rimanenti 8 da terzi soggetti, oggi tutti destinatari del provvedimento di interdizione. Dalle indagini è merso che erano "tutte attività d’impresa soggettivamente ed oggettivamente interconnesse, non solo per via dei rapporti interpersonali esistenti, ma soprattutto per la ritenuta fittizietà di numerosi rapporti economici intercorsi tra le stesse, formalmente attive in eterogenei settori d’impresa, dal commercio all’ingrosso di altri prodotti alimentari, all’attività di stampa, al commercio di macchine e attrezzature, alla costruzione di edifici e sino all’attività di catering e ristorazione, il tutto finalizzato all’ottenimento di ingiusti profitti".
Si trattava di illeciti introiti ottenuti non solo attraverso la produzione e utilizzo indiscriminato di false fatture per documentare il sostenimento di spese relative a 4 progetti d’investimento, assistiti dal Fondo centrale di Garanzia della Banca del Mezzogiorno Mediocredito Centrale, ma anche per non aver onorato, successivamente all’avvenuta erogazione, gli impegni assunti con il contratto di finanziamento.
Dalle indagini, inoltre sono emerse opere edili mai realizzate, falsi preventivi di spesa, macchinari mai acquistati, il tutto costruito per indurre in errore gli istituti di credito eroganti. Solo sulla carta i 4 progetti d’investimento, per un importo totale pari ad oltre un milione di euro, avrebbero dovuto essere destinati alla realizzazione di pasta “bio” di elevata qualità, prevedendo anche la ristrutturazione - poi rivelatasi “fantasma” - di un opificio industriale in provincia di Enna, addirittura prevedendo la digitalizzazione dell’azienda e millantando l’introduzione di sofisticati e moderni macchinari, nella realtà mai acquistati dalla capofila: durante le ispezioni non è stato trovato il presunto stabilimento di pasta “bio”, di cui peraltro non risultava essere mai stata avviata la produzione, rilevando di contro un imponente presenza di ratti, segno tangibile di un completo stato di abbandono.
Inoltre, è emersa da un lato, "l’assenza di qualsiasi profilo imprenditoriale da parte degli amministratori di diritto, alcuni anche gravati da precedenti penali e di polizia, dall’altro, l’inesistenza delle sedi delle società emittenti/riceventi la documentazione commerciale, in quanto sprovviste di reale struttura logistica/aziendale, talune totalmente prive di dipendenti a fronte di fatturati significativi, ovvero in molti casi rivelatesi mere domiciliazioni riportanti solo il nominativo della società, addirittura senza conto corrente aziendale, così riconducendo la direzione delle medesime a classiche “teste di legno”, prestanomi che, allettati dai facili guadagni e dalla promessa di immediati vantaggi, tra cui automobili e somme in denaro, si rendevano disponibili ad assecondare l’organizzazione oggi repressa, di qui il loro considerarsi partecipi dell’associazione investigata".
È stata accertata documentazione falsa, pari a ben 21 milioni di euro tra fatture finte emesse e ricevute. Le ispezioni fiscali hanno consentito inoltre di segnalare all’Agenzia delle Entrate di Messina e alla Procura della Repubblica di Patti evasione per oltre 4 milioni tra Iva e Irap. I destinatari dei provvedimenti, per il tramite delle società coinvolte, si rendevano altresì responsabili di più ipotesi di commissione, in maniera sistematica e reiterata, di svariati illeciti penal-tributari, dall’occultamento e/o distruzione di scritture contabili all’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi.
Infine, il gip del Tribunale di Patti ha disposto le misure restrittive, tenuto altresì conto della personalità degli indagati, indicativa “di uno stile di vita proteso al conseguimento di ingenti facili guadagni” e di una propensione dei medesimi a distogliere dalle sue finalità la lecita attività d’impresa, di contro “elevata a vero e proprio sistema criminale”: “un vasto sistema di economia criminale programmato in modo accurato ed attuato con impressionante continuità”.
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