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Ponte sullo Stretto, salta il tetto agli stipendi dei manager: è scontro

Nella bozza del decreto atteso lunedì in consiglio dei ministri deroga alla norma del 2016 sui compensi massimi di 240mila euro. Insorge l'opposizione

Una elaborazione grafica del progetto definitivo del ponte sullo Stretto

Ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva e ultima, inevitabile, coda di polemiche: mentre lunedì il governo si appresta a varare due decreti omnibus, che spaziano dalla giustizia al caro-voli fino all’8 per mille esteso al recupero delle tossicodipendenze, a scatenare l’ira delle opposizioni è il tetto agli stipendi dei manager.
Che potrebbe saltare, ma solo per il cda della società Stretto di Messina Spa, che avrà il compito di costruire il Ponte.

Sarà da vedere se resterà confermata lunedì, a una valutazione più attenta e collegiale dell’esecutivo, la norma che «rompe» il tetto agli stipendi, passata liscia durante il preconsiglio.
Idea che, raccontano, già era balenata con il primo decreto che ha scongelato la maxi-opera, di cui però poi non se ne era fatto nulla. E c’è chi ricorda l’incidente col governo Draghi, quando il tetto era stato sforato per i vertici pubblici, dai ministeri alle forze armate, salvo poi fare marcia indietro.
Anche oggi ci sarebbe qualche perplessità e nel frattempo, al solo circolare delle bozze, è già scattato il fuoco di fila dei contrari. Una «vergogna», uno «scandalo», «regalie di Salvini», una scelta che allarga le «disuguaglianze» e «soffia sul fuoco del malcontento», vanno all’attacco +Europa, Avs, Pd, M5s e pure Azione, puntando il dito contro la deroga, che compare nella bozza del decreto «asset e investimenti».

«Noi voteremo contro», annuncia anche Iv ricordando che «Renzi ha messo il tetto, Salvini e Meloni lo tolgono». Il governo, affonda Elly Schlein, è «indecente» perché con una mano «affossa il salario minimo» mentre con l’altra cancella il limite di 240mila euro mostrando, sottolineano i 5 Stelle che «questa destra gli unici favori li fa ai soliti noti e a chi ha già».
Il decreto, peraltro, contiene anche quella soluzione «equilibrata e trasparente» sui taxi che però non accontenta del tutto gli addetti ai lavori. Una nuova grana, insomma, per Giorgia Meloni che ha peraltro appena chiesto ai suoi e agli alleati di evitare di prestare il fianco a polemiche ma anche di piantare «bandierine» a favore di ciascuno in vista della campagna elettorale.

Stare concentrati, l’invito della premier, sugli obiettivi principali che aspettano l’esecutivo a settembre: Pnrr, manovra su tutti, e, a seguire, le elezioni europee. Che potrebbero portare scossoni a un governo che però, garantisce Meloni anche nel libro-intervista in uscita a settembre firmato da Alessandro Sallusti, «potrà anche fare errori ma ce la mette tutta».

Concentrazione e coordinamento che serviranno anche perché la presidente del Consiglio, nel frattempo, sarà impegnata anche con una fitta agenda internazionale che la dovrebbe portare in Grecia (forse già prima della fine di agosto), e poi in India per il G20 a inizio settembre e a New York verso la fine del mese per l’Assemblea generale dell’Onu. Questo per il solo settembre. Quando ci sarà da preparare una Nadef abbastanza complicata, mentre potrebbe essere in arrivo il nuovo Patto di Stabilità, ammesso che un compromesso si riesca a trovare. E mentre sarà in corso il confronto con Bruxelles sulle modifiche al Pnrr, che a loro volta hanno ricadute sul percorso di crescita dei prossimi anni. Senza considerare, sul fronte interno, la seconda tranche di riforma della giustizia che il ministro Carlo Nordio ha promesso per la fine di settembre, e la sfida per le riforme istituzionali con la premier che vorrebbe presentare una proposta in autunno o comunque entro Natale.

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