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Ammaniti: la paura ci spinge a cambiare, può essere pure un mezzo di liberazione

«La vita intima», il suo ultimo romanzo, è un percorso al femminile. «Nessuno di noi cammina su linee rette. I miei personaggi iniziali sembravano prevedibili. Maria Cristina, invece, rappresenta la volubilità del pensiero»

Niccolò Ammaniti

Niccolò Ammaniti è uno scrittore amato da più di una generazione. Ma è anche un po’ «pericoloso». No, non per i suoi libri caratterizzati da un realismo a tinte forti, da storie, a volte claustrofobiche, di giovani, ma per quella sua capacità di… prevedere. In Anna, ha parlato, in tempi non sospetti, di pandemia, ne La vita intima, l’ultimo romanzo, della possibilità di un premier donna. Prontamente avveratasi. Per evitare ansie, non gli chiederemo il tema del suo prossimo lavoro. Lo «interroghiamo», invece, sul suo ultimo lavoro, di cui ha parlato ieri sera a Taobuk, confrontandosi con un altro scrittore, Marco Missiroli, con una riflessione «in bilico tra libertà e indipendenza». «Tra i nostri romanzi - commenta Ammaniti - ci sono analogie: entrambi sono attenti alla costruzione dei personaggi, alla psicologia». La vita intima è un percorso al femminile in cui Ammaniti racconta di Maria Cristina Palma, moglie del primo ministro e considerata «la donna più bella del mondo»: una privilegiata e vanesia signora che vive nel suo attico di lusso e veste griffata, che accetta il ruolo di «moglie trofeo» ma è scontenta: un video hard riemerso del suo passato la spingerà a riconsiderare tutta la sua vita. È, come sempre, un viaggio nelle emozioni che la scrittura di Ammaniti dispensa. Un libro sul consenso, quello politico, che non viene più dall’elettore ma dal follower.

Ammaniti, otto anni tra Anna e questo nuovo libro, con una nuova figura femminile. Cosa ha fatto in tutto questo tempo?
«Ho fatto il regista di due serie, un lavoro lungo, poi ci si è messo anche il Covid che ha interrotto le riprese ma mi ha permesso di iniziare a lavorare al libro, a costruire la scaletta. Finito il montaggio della serie Anna, mi sono dedicato del tutto alla scrittura».

Ma che vita intima è la nostra, nella piazza dei social?
«Paradossalmente, più aumenta l’esposizione, più le nostre ossessioni, le nostre paure, i nostri desideri più reconditi diventano intimi. I bisogni, i desideri, le memorie, per fortuna, sono ancora privati, anche in una società che chiede di manifestarci in tutte le nostre forme, fisiche e intellettuali».

L’apparire più importante dell’essere.
«Un doppio binario che produce una scissione tra quello che mostriamo e quello che siamo con conseguenti difficoltà nelle relazioni sociali, intime, sentimentali e sessuali. Io uso poco i social, solo quando mi servono. Non ho tempo».

Maria Cristina di fronte a una minaccia, cambia strada…
«La mia idea era quella di raccontare il cambiamento di un personaggio attraverso la paura, un motore che ci mette in discussione, ci fa temere il futuro e i rapporti con chi ci sta accanto. E può essere anche un mezzo di liberazione che ci spinge a gesti di emancipazione. Maria Cristina riesce a trasformarsi perché mossa dalla paure di un’arma: il video che la ritrae. Lei è contraddittoria, con una capacità di cambiare a poche pagine di distanza. Nessuno di noi cammina su linee rette. Forse i miei personaggi iniziali, soprattutto perché avevano un focus ben preciso, sembravano prevedibili. Maria Cristina, invece, rappresenta la volubilità del pensiero».

Si è allontanato dai giovani tormentati, virando verso personaggi femminili. E anche la sua scrittura è cambiata…
«Sono invecchiato e la scrittura è oggi più ponderata, psicologica, mi prendo più spazi per me con delle riflessioni esterne. C’è meno ricerca di trama e più profondità sulla caratterizzazione dei personaggi».

Quali dei due mezzi, il computer o la cinepresa, le dà più libertà?
«Il computer perché la scrittura non la condividi con nessuno, un libro è tutta farina del tuo sacco. Quando, invece, ci sono in ballo soldi, interessi, grandi distributori, intervengono le richieste: e ogni richiesta equivale a un piccolo pezzo di libertà che va via».

Di solito un film è diverso dal romanzo, è sempre liberamente tratto. Ma quando autore e regista coincidono, che succede?
«È sempre diverso, perché girare un film significa incarnare le tue storie in persone, è uno strano percorso molto interessante. Ed è anche salutare, per uno che è abituato a lavorare da solo, il confronto con gli altri».

È ritornato a scrivere?
«No, ora mi godo Taormina e l’estate».

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