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Intascava i soldi delle bollette dell'acqua dei morosi, arrestato un avvocato di Taormina

I finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno arrestato un avvocato e notificato un divieto di dimora nel comune di Taormina a un ex dirigente comunale, ora in pensione, accusati di peculato e corruzione.

Si sarebbero appropriati di oltre un milione di euro che gli utenti morosi negli anni hanno versato per pagare le bollette dell’acqua.

Nell’ambito della stessa inchiesta sono stati sequestrati beni immobili e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di oltre 800 mila euro. Le indagini hanno consentito di accertare che l’avvocato Francesco La Face, incaricato dall’amministrazione comunale di riscuotere le somme dovute per la fornitura dell’acqua nei confronti degli utenti morosi, insieme al responsabile dell’Area Servizi Generali e dell’Ufficio Riscossione del Servizio acquedotto del Comune di Taormina Giovanni Coco, invece di versare nelle casse comunali gli importi riscossi se ne appropriava.

L’operazione nasce da una indagine dei militari della Compagnia di Taormina e dal Gruppo delle Fiamme Gialle di Messina, coordinata dalla Procura della Città dello Stretto guidata da Maurizio de Lucia.

L’inchiesta è partita da verifiche fiscali fatte dalla Finanza nei confronti del legale. Gli accertamenti hanno evidenziato come l’ex dirigente comunale, in cambio di denaro e regali per 26mila euro fosse sostanzialmente asservito all’avvocato.

Durante le perquisizioni nell’abitazione dell’ex dirigente comunale, è stato trovato e sequestrato un «pizzino», rappresentativo della giustificazione concordata tra i due per creare una giustificazione - ovviamente solo apparente - alla tangente ricevuta. Il legale, grazie alla complicità del responsabile dell’ufficio idrico, che inseriva nel sistema informatico comunale «AcqueWin» - da qui il nome dell’operazione - dati falsi, negoziava direttamente sul suo conto corrente personale gli assegni degli utenti morosi (comportamento definito dallo stesso gip "inquietante"), o si faceva pagare «in contanti», a fronte di uno sconto all’utente, per non lasciare traccia degli importi ricevuti.

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