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Aids a Messina, presunto untore rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio

Dovrà comparire il prossimo 2 ottobre davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Messina, il sieropositivo, 56 anni, che negli anni scorsi contagiò alcune sue compagne ed è accusato di averne uccisa una. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio, depositata nei mesi scorsi dal pm Roberto Conte, stamattina è stata celebrata l’udienza preliminare, davanti al gup Monica Marino, che ha disposto il rinvio a giudizio per il messinese L.D.D., affetto da Hiv, arrestato nel settembre scorso, con l’accusa d’omicidio aggravato e lesioni gravissime, per aver infettato la partner, un’avvocatessa, poi deceduta tra atroci sofferenze, nel luglio del 2017, a 45 anni.

L’uomo, che rimane ai domiciliari, col braccialetto elettonico, è invece difeso dall’avvocato Carlo Autru Ryolo, che anche oggi ha sostenuto la non colpevolezza del suo assistito per la più grave accusa di omicidio che gli viene contestata, rivendicando che al più la condotta può essere cristallizzata nell’accusa di lesioni gravi.

Per l'accusa di maltrattamenti il giudice ha stralciato la posizione, pronunciando sentenza di non doversi procedere per prescrizione. Nel processo saranno parti civili, la sorella dell’avvocata deceduta, che si è costituita parte civile con l’avvocato Bonaventura Candido, e i genitori assistiti dall’avvocata Elena Montalbano. La donna non fu curata per l’Aids, contratta dal convivente , la patologia infatti non fu mai diagnosticata dai medici e per questo aspetto c'è una seconda inchiesta a carico di alcuni camici bianchi, che la seguirono durante la malattia.

Tra i capi d'accusa, si legge, viene contestato all'uomo anche un caso di lesioni gravi, per aver trasmesso la sieropositivà anche ad una donna di Verona, con la quale ebbe una relazione. Dopo il primo step di indagini della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri, ulteriori accertamenti sarebbero stati compiuti in più parti d’Italia e anche all’estero, cresce pertanto il numero di donne che il presunto untore  avrebbe potuto contagiare.

Il processo tenderà ad acclarare, se l'uomo era consapevole della sua sieropositiva in data antecedente al 2010 (stante il fatto che la relazione è del 2004 al 2008) epoca in cui fu diagnosticata la sua infezione da Hiv a Bologna. L'uomo infatti sostiene di essere stato contagiato  a sua volta, ma di non avere avuto subito contezza tanto che la donna di Verona sarebbe stata informata per tempo della situazione, ma durante un rapporto si sarebbe rotto il profilattico, da qui ne sarebbe derivato il contagio.

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