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Nebrodi, Libera sulla sentenza: «La mafia cambia, ma lo Stato sa colpirla»

«Il Processo Nebrodi, in cui Libera, seguita dall’avvocata Enza Rando, si è costituita parte civile, ha confermato per buona parte l’impianto accusatorio, disponendo la confisca di beni per 4 milioni di euro e condannando gli imputati a quasi 600 anni complessivi». È quanto si legge in una nota dell’associazione fondata da don Luigi Ciotti.

«Va dato merito al lavoro della Procura e del Tribunale - prosegue la nota - che hanno condotto un processo corposo in tempi davvero brevi. Grazie anche a un impianto accusatorio che non si lascia fuorviare dagli stereotipi del passato. Un modello mafioso che cambia, si adatta e lo Stato che puntualmente risponde e non resta indietro. La scelta di Libera di costituirsi parte civile ha mosso le sue ragioni dall’importanza che quanto è accaduto dovesse essere conosciuto, approfondito e raccontato. Il business messo in piedi dai clan dei Nebrodi sulle truffe ai fondi comunitari destinati ai pascoli e all’agricoltura è una ferita profonda per il territorio messinese, ma il processo appena conclusosi dimostra che il contrasto alle mafie è una scelta che riguarda tutte e tutti, non soltanto magistratura e forze dell’ordine, ma anche e soprattutto istituzioni, professionisti oltreché cittadini e cittadine; che ciascuno con i propri mezzi e strumenti può fare la propria parte».

«La sentenza contro i clan dei Nebrodi - afferma - Loredana Introini, presidente del Centro Pio La Torre, parte civile al processo - dimostra che lo Stato è presente quando i suoi uomini si impongono, con caparbietà, per il rispetto della legge». Per il Centro La Torre «ora è necessario vigilare affinché non si ricostituisca un sistema che ha oppresso per anni il territorio, mortificando con violenza e malaffare gli imprenditori onesti».

«La sentenza dei giudici di Patti - aggiunge la presidente del centro - conferma per buona parte l’impianto accusatorio,disponendo la confisca di beni per 4 milioni di euro, comprese 17 aziende in mano ai boss, e condannando gli imputati a quasi 600 anni di carcere».

Per la Cgil «viene smantellato un sistema che ha oppresso per anni un territorio, mortificandolo con la violenza e il malaffare e accaparrandosi risorse che dovevano servire allo sviluppo. Si chiude una pagina triste, si scrive una nuova pagina di storia che speriamo determini la libertà di un territorio». Lo dice il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino, il quale sottolinea «la lunga strada che ha portato a questo risultato e il ruolo determinante del protocollo Antoci, che ha contribuito a scoperchiare il sistema complesso adottato dalla cosiddetta mafia dei pascoli per accaparrarsi le risorse europee. Ci auguriamo che questo sia un punto di partenza - conclude Mannino - per una evoluzione della nostra economia che veda totalmente esclusa la mafia e gli interessi mafiosi».

Secondo il senatore Franco Mirabelli, nella scorsa legislatura capogruppo Pd in commissione Antimafia, «la sentenza sulla mafia dei Nebrodi è importante e assesta un colpo durissimo alla criminalità organizzata siciliana. Un risultato voluto e realizzato dal lavoro della magistratura e degli inquirenti a cui deve andare la nostra riconoscenza, così come non va dimenticato il ruolo decisivo di Giuseppe Antoci che col suo protocollo, diventato legge nazionale, ha creato le condizioni per questo successo dello Stato. Anche a lui e al suo coraggio si deve la sentenza di ieri». Così in una nota.

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