Un vicepremier e ministro che si muove come un premier. E da oggi anche un altro ministro, sempre della Lega, che non sembra voler restare sui binari assegnatigli. Che Salvini e la Lega non sarebbero stati alunni disciplinati della premier Meloni, un po’ tutti, tra gli alleati, ne avevano il sospetto. Del resto le prime «avvisaglie» sono giunte ancor prima (ma anche durante) il dibattito sulla fiducia con il numero uno di via Bellerio - chiuso nei suoi uffici - pronto ad intestarsi battaglie che, sulla carta, esulavano dalle proprie competenze ministeriali. Ma prontamente rese pubbliche sui social. «Proposte, stimoli, contributi al dibattito», le motivazioni del suo interventismo su temi come l'economia (fisco e flat tax, pensioni e Fornero, tetto del contante) e di sicurezza (immigrazione e gestione porti su tutti). Insomma, più che uno stimolo, soprattutto dalle parti di via della Scrofa, le sovraesposizioni mediatiche di Salvini sono sembrate più che altro una pretesa di dettare l’agenda al governo.
A squadra di governo non ancora ultimata, sono molti a gettare acqua sul fuoco e a giurare che non vi è in corso alcun braccio di ferro: «Lo scontro esiste solo nei retroscena giornalistici», tagliano corto sia dalla Lega che da Fratelli d’Italia. Solo gli azzurri - più defilati in questo momento - ironizzano sulla difficile convivenza tra due pesi massimi («ingombranti», è la definizione poi edulcorata) come Giorgia e Matteo: «Non è che l’inizio», prevede più di un parlamentare.
Ma le 48 ore che il premier ha destinato alla chiusura della squadra, corrono veloci. Ed è anche forse per questo che Meloni ha deciso di passare a Palazzo Chigi il primo sabato dopo il tour de force degli ultimi giorni. Salvini però non molla la presa e, di prima mattina, affida a tre messaggi l’intenzione di non arretrare di un millimetro dalla sua strategia: «Tagliare sprechi e furbetti del reddito di cittadinanza per creare lavoro vero, a breve dalle parole ai fatti», sentenzia su Facebook. Come? Lo spiega a Bruno Vespa nel suo ultimo libro: «Un miliardo preso dal reddito di cittadinanza di chi potrebbe lavorare servirà a finanziare nel 2023 quota 102 per le pensioni. Età minima per andare in pensione a 61 anni con 41 di contributi (quota 102). Per realizzare il progetto nel 2023 secondo i calcoli dell’Inps serve poco più di un miliardo. Lo recupereremo sospendendo per sei mesi il reddito di cittadinanza a quei 900 mila percettori del reddito che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi».
Ma non solo: Salvini - ma qui una buona fetta di competenze è sua - invita Schifani (Regione Sicilia) e Occhiuto (Regione Calabria) a un incontro al dicastero di Porta Pia per fare il punto della situazione con particolare riferimento al progetto del Ponte sullo Stretto.
Poi l’ultimo intervento anche sulla guerra in Ucraina che, pur mantenendosi in linea con la tela tessuta dalla Meloni non da ultimo in Parlamento, lo vede dare un’impronta riconoscibile alla sua posizione nel governo: «Noi abbiamo proposto che l’Italia chieda una conferenza internazionale di pace. C'è un aggressore e un aggredito, ma tutte le guerre finiscono a un tavolo negoziale. L’Ucraina è parte lesa e la comunità internazionale si farà garante dell’accordo», spiega. Non senza rimarcare che «si fa fatica a sentir dire che “decideranno gli ucraini”. La comunità internazionale deve decidere per loro».
E Giorgetti? Anche lui - pur con gli uffici del Mef - interviene quasi «fuori tema», annunciando che terminata la sua istruttoria, ha inviato al Dipartimento per i rapporti con il Parlamento una proposta emendativa al decreto-legge aiuti-ter per sospendere fino al 30 giugno 2023 le attività e i procedimenti di irrogazione della sanzione nei casi di inadempimento dell’obbligo vaccinale Covid-19.
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