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Scontro tra Nordio e i giudici: «Voi interferite», «Parlare è un nostro diritto ed anche un dovere»

A Taormina il ministro risponde alle critiche dell'Associazione magistrati e sottolinea che per il governo l'interlocutore è solo il Csm. Poi annuncia una stretta radicale sulle intercettazioni

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio con la moglie Maria Pia Manuel al Festival Taobuk

Ora il dibattito è diventato uno scontro. Il ministro della Giustizia passa al contrattacco delle critiche mosse negli ultimi giorni dall’Associazione nazionale magistrati al suo progetto di riforma. Il dito del Guardasigilli è puntato contro il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia: «Se il rappresentante di un sindacato di magistrati, prima che fosse noto il testo del disegno di legge, pronuncia tutta una serie di critiche severissime», allora, «secondo me in corretto italiano significano interferenze», tuona Nordio durante la sua partecipazione al festival Taobuk di Taormina. Ribadendo che «l’interlocutore istituzionale del governo e della politica non è il sindacato, ma il Csm».

Inevitabile, dopo qualche ora, la reazione del diretto interessato: «I magistrati e l’Anm, che ne ha da oltre un secolo la rappresentanza, hanno non solo il diritto ma anche il dovere di prendere parola, per arricchire il dibattito sui temi della giustizia - replica Santalucia -. Perché in tal modo ampliano il confronto e contribuiscono, con il loro punto di vista argomentato e ragionato, a migliorare ove possibile la qualità delle riforme. Questa è l’essenza della vita democratica».

Sul tema è intervenuto anche il vicepremier Antonio Tajani: «Forza Italia vuole che si raggiunga un accordo complessivo per la riforma. La decisione adottata dal Consiglio dei ministri l’altro giorno va nella giusta direzione, ma è una tessera del grande mosaico. Ora bisognerà andare avanti con la separazione delle carriere, cioè portare a compimento quello che era il disegno di Silvio Berlusconi».

Al centro delle polemiche c’è soprattutto la misura della cancellazione dell’abuso di ufficio: «Era ed è ancora un reato così evanescente che complica soltanto le cose senza aiutare minimamente, anzi ostruendo le indagini perché intasa le procure della Repubblica di fascicoli inutili disperdendo le energie verso reati che invece dovrebbero essere oggetto di maggiore attenzione», insiste Nordio, che si lancia in un esempio: «Sapete quanto costa un processo penale? Sapete quanto è costato il processo fatto a suo tempo contro Andreotti che è finito nel nulla? È costato un miliardo di lire alla parte soltanto per fare le fotocopie».

Dunque, la lotta alla corruzione «non si fa con le armi penali», va combattuta anche «con la semplificazione normativa» e i presìdi istituiti in questo senso non hanno funzionato abbastanza. Non manca una sferzata del ministro sugli «errori giudiziari»: quelli su cui «nessuno ha detto niente e la magistratura continua a essere autoreferenziale, dicendo che questa è la loro indipendenza e la loro autonomia».

Il riferimento è anche politico: «Quando le indagini sono fatte male, compromettono la vita degli individui e addirittura qualcuno viene promosso o eletto in Parlamento dopo anni di lunghe indagini». Poi le polemiche rispedite al mittente delle ex toghe ora nei partiti: «Sia Cafiero De Raho che Pietro Grasso sono entrati subito in politica dopo avere cessato la carica di pm senza il periodo di decantazione che sarebbe necessario. Di nomi ce ne sono tanti. A suo tempo avevo detto che il magistrato non dovrebbe mai fare politica, poi ho ritenuto che dopo cinque anni dalla cessione del mio lavoro in magistratura questa decantazione potesse giustificare il fatto di assumere una carica governativa».

Infine, un annuncio: «Noi interverremo sulle intercettazioni molto più radicalmente. Che questa sia una barbarie che costa 200 milioni di euro l’anno per raggiungere risultati minimi è sotto gli occhi di tutti», conclude Nordio. Ma il coordinamento di Area Dg (Area democratica per la giustizia) insiste: «Così si va verso un diritto diseguale», si tratta di «una precisa scelta di politica criminale che va criticata e contestata con tutti gli strumenti culturali e comunicativi a disposizione della comunità dei giuristi che chiamiamo alla mobilitazione».

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