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Barcellona, le vittime del racket non denunciavano neppure le bottiglie incendiarie trovate

Dagli arresti domiciliari organizzavano summit, definivano piani e strategie, riorganizzavano la famiglia e ricostruivano l’alleanza tra i vertici del clan per imporre una regia unica alle attività illecite e ripristinare la cassa comune (che chiamavano «paniere» o «bacinella») dove fare arrivare i soldi sporchi, in parte destinati al sostentamento degli uomini d’onore detenuti. È quanto emerge dall’inchiesta che ha disarticolato il clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto.

La cosca, secondo gli inquirenti, negli ultimi tempi sarebbe stata completamente riorganizzata, gli antichi dissapori tra i vertici messi da parte in nome di business comuni come la richiesta di pizzo alle imprese e agli esercizi commerciali da riscuotere, come da tradizione, durante le festività di Pasqua, Natale e Ferragosto. Le vittime del racket, sottoposte a minacce e intimidazioni, vivevano in un clima di terrore. Nessuno si rivolgeva agli investigatori.  La riorganizzazione infatti ha riguardato anche la pianificazione ed esecuzione di azioni intimidatorie quali incendi e violenze fisiche che hanno certamente sortito l’esito voluto, come dimostrato dalla mancanza di collaborazione da parte delle vittime che, in taluni casi, non hanno denunciato neppure il rinvenimento di bottiglie incendiarie.

Dalle indagini è emerso inoltre che il clan aveva la disponibilità di armi, anche da guerra, e controllava la prostituzione. L’attività era gestita da una organizzazione criminale che faceva capo a un uomo vicino alla famiglia mafiosa, che in cambio di «protezione» assicurava ai boss una percentuale sui guadagni.

Ai «barcellonesi», inoltre, facevano capo un grosso traffico di droga - destinato alle piazze di spaccio di Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo e altri comuni della provincia - e le bische clandestine. Il clan aveva rapporti costanti con organizzazioni criminali in Sicilia e in Calabria. Nell’ambito dell’inchiesta sono state scoperte due organizzazioni criminali che rifornivano le piazze di spaccio non solo della cittadina messinese, ma anche di altri comuni dell’area tirrenica, tra cui Rodì Milici, Terme Vigliatore e Milazzo, arrivando fino a Messina città, Letojanni e Giardini di Naxos.

Durante l’indagine sono stati sequestrati circa 19 kg di droga tra cocaina, hashish e marijuana e in un paio di circostanze anche lsd. Grazie ai carabinieri della compagnia di Milazzo inoltre è stata documentata la filiera al dettaglio dello spaccio di marijuana, hashish e cocaina distribuite nell’area di Milazzo, della Valle del Mela, del barcellonese e nelle Isole Eolie. Le bande ricorrevano alla violenza per riscuotere i soldi guadagnati dalla vendita di droga e attraverso furti in abitazioni, lidi balneari, un cantiere nautico e un’autorimessa mettevano insieme il denaro necessario per l’acquisto dello stupefacente.

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