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Nelle telefonate l'errore della strage del treno, così sono morti i 5 operai

A Brandizzo era previsto il passaggio notturno di tre convogli proprio mentre i tecnici dovevano cambiare dei binari, nessuno li aveva autorizzati a cominciare. Due vittime erano siciliane

Mazzi di fori e un casco di protezione giallo, con disegnato su un lato un cuore rosso che sanguina, su di uno scalino di una porta d'ingresso della stazione di Brandizzo

Tre telefonate, ma nessun nulla osta concesso. È lì che qualcosa è andato storto, nelle ore in cui a Brandizzo era previsto il passaggio notturno di tre treni, proprio mentre cinque operai dovevano cambiare dei binari. E in cinque sono morti, intorno alla mezzanotte tra il 30 e il 31 agosto, Michael Zanera, 34 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Saverio Giuseppe Lombardo, 52 anni di Marsala, Giuseppe Aversa, 49 anni, Kevin Laganà, 22 anni di Messina. Per ricordarli adesso davanti alla stazione ci sono fiori e un casco giallo col cuore rosso che sanguina su entrambi i lati, foto, parenti e amici che passano con gli occhi lucidi. Il focus allora va alle procedure, al loro rispetto. «La procedura c’è - afferma il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini - non puoi andare a lavorare su un binario se non c’è l’autorizzazione che non passano più veicoli. È stato un drammatico errore su cui ovviamente dobbiamo andare fino in fondo, è inaccettabile». Restano da capire le ragioni, se non è stata rispettata.

Due persone sono indagate per omicidio plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale. Sono il capocantiere, Andrea Girardin Gibin, 52 anni, della ditta Sigifer come i cinque colleghi morti, e il tecnico di Rfi, Antonio Massa, 46 anni, che fungeva da «scorta». La colpa del primo sarebbe di avere fatto scendere sui binari i suoi operai senza prima avere il foglio col nulla osta. Per Massa invece nelle telefonate. Iniziano intorno alle 23.30 quelle in cui chiede alla centrale del movimento di Chivasso l’autorizzazione: una prima, poi una seconda. Ha in mano solo le ipotesi di finestre di lavoro, basate sugli orari previsti dei treni. Da Chivasso gli dicono “no», rinviano, «deve ancora passare un treno». Il punto potrebbe essere quale treno. In programma erano tre: l’ultimo di linea, uno che doveva trasportare vagoni da Alessandria a Torino e un terzo, previsto verso l’1.30. Alle 23.30 il primo ha già fatto il suo percorso. Il secondo no, è in ritardo, ma non è chiaro se il tecnico Rfi l’abbia confuso col precedente. Perché scende sui binari col capocantiere e i cinque. Dalla centrale gli ripetono che avrà due finestre per lavorare: tra il secondo e il terzo treno, oppure dopo il terzo e ribadiscono: «State fermi». Una terza telefonata registra il boato, la frenata, la strage è fatta.

Ci sono altre due chiamate successive, ma sono solo le urla di Massa che la descrivono. La ricostruzione è nella registrazione delle telefonate, confrontate con gli orari in cui dalle telecamere della stazione si vedono gli operai sui binari. Senza che un semaforo rosso fermasse i treni, perché non era previsto si fermassero. Senza i dispositivi che si mettono sulle rotaie per segnalare quando si lavora, ma non è chiaro quando sia obbligatorio farlo. Eppure i dispositivi di sicurezza sulla linea c’erano, sarebbero dovuti scattare dei segnali luminosi, ma non è accaduto.

Di evidente c’è solo la prima ricostruzione abbozzata dei fatti di Massa e Girardin Gibin, abbastanza per fare decidere alla Procura di Ivrea (Torino) che da persone informate sui fatti divengano indagati. Hanno parlato abbastanza, tanto che la procuratrice capo di Ivrea, Gabriella Viglione, oggi dice: «Gli interrogatori dei due indagati al momento non sono programmati. Vedremo eventuali istanze, ma per ora dobbiamo approfondire la documentazione raccolta».

In concreto significa che, a meno di richieste da parte dei legali degli indagati, gli interrogatori non saranno immediati. Allo stesso modo sembra prematuro ipotizzare altri indagati, mentre gli elementi da analizzare da parte degli inquirenti si allargano alla prassi. Ancora da sentire la Sigifer, così come Rfi. «Man mano che troviamo dati, valutiamo. Servono elementi concreti su cui sia utile e produttivo sentirli» spiega Viglione. Come a dire che le carte e i dati da pesare «sono tantissimi», richiedono tempo, ma insieme anche che la situazione dovrà cambiare e potrebbe accadere non appena qualche elemento lo consenta. Oggi intanto  Vercelli vedrà sfilare un corteo silenzioso di Cgil, Cisl è Uil, per dire «mai più».

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